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Neuroendoscopia completamente non invasiva grazie agli ultrasuoni

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Scritto da Lorenzo Morelli

Per diagnosticare e/o operare in aree anatomiche complesse e difficilmente ispezionabili senza rischi collaterali, si tende sempre più a ricorrere ad approcci meno invasivi possibili ma che non lo sono mai completamente.

Si stanno dunque sperimentando nuovi strumenti e sistemi attraverso i quali raggiungere organi delicati, in particolare il cervello, senza che sia più necessario inserire device o oggetti nel corpo. Una potenziale soluzione potrebbe essere proprio dietro l’angolo: gli ultrasuoni.

Endoscopia: che cos’è?

Molto spesso per scansionare e diagnosticare tessuti biologici in profondità nel corpo, si ricorre a metodi invasivi: è il caso dell’endoscopia. Essa consiste nell’introduzione di microtelecamere direttamente all’interno degli organi di indagine per osservare e studiarne la sintomatologia.
Questi imager endoscopici, vengono solitamente inseriti attraverso cataterismi e quindi tramite intervento chirurgico al fine di raggiungere i tessuti profondi.

Dunque tale metodologia diagnostica risulta essere altamente invasiva quando le zone da indagare sono ad alto indice di rischio, come il cervello.

Per rendere quindi la neuroendoscopia priva di rischi, Maysam Chamanzar e Matteo Giuseppe Scopelliti del College of Engineering della Carnegie Mellon University, hanno realizzato una nuova tecnica che utilizza gli ultrasuoni per acquisire in modo completamente non invasivo immagini ottiche dal cervello. Tale metodo ha il potenziale per eliminare del tutto la necessità di intervento.

Una lente “virtuale” ad ultrasuoni

Negli anni la propagazione non invasiva delle onde elettromagnetiche attraverso il corpo, è stata ampiamente utilizzata nei sistemi di imaging ottico per diverse regioni anatomiche, soprattutto il cervello. Tuttavia, la dispersione della luce all’interno del tessuto biologico ha sempre limitato la profondità raggiungibile e dunque la risoluzione di tali strumenti.

Nel tempo, in molti di questi, sono stati adottati sistemi di regolazione, con l’intento di aumentare la potenza di emissione della luce per compensare tale perdita di risoluzione. Ciò però da sempre rappresenta una fonte di rischio per i tessuti e causa di disturbi per l’imaging. Per risolvere tali problematiche, sono stati ideati microendoscopi ottici per guidare e raccogliere la luce anche in profondità nei tessuti, mantenendo il livello desiderato di intensità e risoluzione. Un componente chiave di quest’ultimi è una lente con indice graduale a superficie piana GRIN (GRaded INdex) che non presenta le aberrazioni tipiche delle lenti sferiche tradizionali.

(Da sinistra: collimazione del raggio ottico senza l’uso di modelli ultrasonici e con l’uso di essi)

Tuttavia nel caso del cervello, anche i microendoscopi richiedono comunque l’intervento chirurgico per eseguire l’esame diagnostico.  In tal senso il team della Mellon University ha realizzato un sistema ottico di imaging cerebrale non invasivo, attraverso l’uso di un obiettivo V-GRIN (Virtual – GRaded INdex). Tale lente è “virtuale” e non deve essere inserita chirurgicamente come accade nella neuroendoscopia classica. Essa viene “definita in situ” da degli attuatori ultrasonici evitando l’inserimento di qualsiasi artefatto.

Attraverso la propagazione di particolari modelli di onde ultrasoniche, essi variano la densità locale del mezzo, riuscendo a focalizzare la luce attraverso la creazione della suddetta lente. Pertanto, la luce viene modulata attivamente dagli ultrasuoni e i fotoni vengono mantenuti confinati e trasmessi da profondità maggiori e con una risoluzione migliore.

L’uso di questi attuatori ultrasonici riconfigurabili, previene così una risposta infiammatoria dei tessuti cerebrali che potrebbe verificarsi nel caso di inserimento di lenti fisiche (GRIN) dei neuroendoscopi classici.

Il principio di funzionamento

Dunque il team di ricercatori ha realizzato un neuroendoscopio non invasivo, dotato di una cavità cilindrica in grado di emettere e supportare solo determinati modelli di onde acustiche. Le onde ultrasoniche utili alla creazione della lente virtuale, vengono generate in essa usando una fonte elettrica esterna: la cavità infatti è stata realizzata in materiale piezoelettrico in modo da produrre onde di pressione nel mezzo.

In dettaglio, il campo elettrico alternato applicato, fa vibrare l’intera struttura della cavità, alla frequenza caratteristica dei cristalli che la costituiscono anche internamente. Tali spostamenti vibrazionali a loro volta, generano un’onda di pressione di derivazione ultrasonica che di conseguenza cambia radialmente l’indice di rifrazione locale del mezzo, realizzando una lente a gradiente di rifrazione virtuale (V-GRIN), simile ad un obiettivo ottico fisico. In questo modo il V-GRIN confina e guida la luce del raggio di luce emesso dall’endoscopio, dalla zona diagnostica fino alla telecamera del device.

Il test

Per descrivere l’effetto dell’onda ultrasonica generata nella cavità, il team ha utilizzato un oggetto fluorescente che simulasse il tessuto cerebrale, investito dalla luce emessa dall’endoscopio:

Come mostrato in figura, quando l’ecografia è disattivata, l’immagine del tester non è trasmessa e di conseguenza, il microscopio collocato superiormente non è in grado di catturare l’immagine (risultata essere completamente sfocata). Con l’attivazione del sistema ecografico invece, la lente V-GRIN virtuale viene “costituita” (ad una frequenza d’onda di f = 832 kHz) e si ottiene un’immagine completa e dettagliata (una sorta di “relè ottico-acustico”).

I ricercatori in questo modo hanno dimostrato che la lente V-GRIN ad ultrasuoni in situ, può trasmettere l’immagine senza necessità di intervento, e funziona su qualsiasi mezzo comprimibile con bassa perdita di propagazione acustica.

Le applicazioni future

Il metodo di imaging pubblicato è una tecnologia di tipo “piattaforma”, ovvero un’innovazione che si presta ad applicazioni e realizzazioni diverse, in termini di design. In futuro, potrebbe essere implementata sotto forma di un dispositivo portatile o molto più probabilmente di cerotto, consentendo un imaging con una riduzione a zero del rischio associato all’indagine del cervello.

(Esempio di applicazione cerotto cutaneo)

Posizionando infatti il dispositivo sulla pelle, il medico sarebbe in grado di ricevere facilmente informazioni ottiche dall’interno del tessuto per creare immagini di ciò che è all’interno senza gli effetti collaterali dati oggi dall’endoscopia cerebrale.

I campi di applicazione più probabili per questa tecnologia potrebbero essere estesi all’imaging sottocutaneo, come la diagnosi e terapia fotodinamica per identificare e colpire i tumori maligni o monitoraggio dell’attività cerebrale. I ricercatori prevedono che questa nuova tecnologia di imaging potrebbe essere applicata in contesti clinici entro i prossimi cinque anni.


Bibliografia
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Informazioni autore

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Lorenzo Morelli

Laureato in Ingegneria Clinica presso l'università "La Sapienza" di Roma e specializzato nell'ambito dell'Health Technology Management dei dispositivi medici. Ambiti di interesse: dispositivi diagnostici e tecnologie chirurgiche innovative.

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