MDPHARMA_banner
Neuroscienze

Nuovo ruolo fondamentale per il sistema immunitario: controllare le interazioni sociali

monsterid
Scritto da Francesca Albano
Una sorprendente ricerca che solleva questioni di grande interesse sul comportamento umano è stata condotta dai ricercatori dell’Università della Virginia School of Medicine (UVA). E’ stato provato che il sistema immunitario interessa direttamente – ed addirittura controlla – il comportamento sociale degli esseri viventi, come il loro desiderio di interagire con gli altri.

 

Fu nel 2015 che Jonathan Kipnis, direttore del Centro per l’Immunologia Cervica di UVA e Glia, e il suo team hanno scoperto che i vasi meningei collegano direttamente il cervello con il sistema linfatico. Questo ha rovesciato decenni di studi sul cervello che era l’unico “privilegiato”, senza una connessione diretta al sistema immunitario.

La scoperta ha aperto la porta a nuovi modi di pensare a come interagiscono il cervello e il sistema immunitario

I problemi del sistema immunitario possono contribuire ad una incapacità di avere normali interazioni sociali?

La risposta sembra essere sì e questa constatazione potrebbe avere implicazioni significative per le malattie neurologiche come autismo e schizofrenia.
Jonathan Kipnis

Il cervello e il sistema immunitario fin ad ora erano considerati isolati l’uno dall’altro, e qualsiasi attività immunitaria nel cervello è stata percepita come segno di una patologia. Adesso non solo dimostriamo che stanno interagendo da vicino, ma alcuni dei nostri tratti comportamentali potrebbero essere evoluti a causa della nostra risposta immunitaria agli agenti patogeni.

ha spiegato Jonathan Kipnis, presidente del Dipartimento di Neuroscienze dell’UVA.

È follia, ma forse siamo solo dei campi di battaglia multicellulari di due “forze antiche”: i patogeni e il sistema immunitario. Una parte della nostra personalità può essere dettata dal sistema immunitario.

La nuova ricerca

La ricerca di follow-up sta facendo luce sia sul funzionamento del cervello sia sull’evoluzione stessa. I rapporti tra le persone e gli agenti patogeni, suggeriscono i ricercatori, avrebbero potuto influenzare direttamente lo sviluppo del nostro comportamento sociale, permettendoci di impegnarci nelle interazioni sociali necessarie alla sopravvivenza delle specie, sviluppando forme per i nostri sistemi immunitari per proteggerci dalle malattie che accompagnano quelle interazioni.

Ricercatore post-doc Anthony J. Filiano a sinistra, e Jonathan Kipnis, presidente del Dipartimento di Neuroscienze dell’UVA. (Foto di Sanjay Suchak, comunicazioni universitarie)

È estremamente critica per un organismo la componente sociale per la sopravvivenza delle specie. È importante per l’allevamento, la riproduzione sessuale, la raccolta, la caccia.

ha dichiarato Anthony J. Filiano, ricercatore post-doc di Hartwell nel laboratorio di Kipnis e autore principale dello studio.

L’ipotesi è che quando gli organismi si riuniscono, vi è una propensione più elevata per diffondere l’infezione. Quindi è necessario essere sociali, ma nel farlo, hai maggiori possibilità di diffondere patogeni. Si pensa che l’interferone gamma, in evoluzione, sia stato usato come un modo più efficace per incoraggiare il comportamento sociale aumentando una risposta anti-patogeno.

L’attività cerebrale normale, sinistra, e un cervello iper-collegato a destra. (Immagini di Anita Impagliazzo, UVA Health System)

Il comportamento sociale è nell’interesse degli agenti patogeni poiché consente loro di diffondersi

I ricercatori UVA hanno dimostrato che una specifica molecola immunitaria, l’interferone gamma, sembra essere critica per il comportamento sociale e che una varietà di creature, come mosche, zebre, pesci, topi e ratti, attivano le risposte dell’interferone gamma quando sono ‘sociali’. Normalmente, questa molecola viene prodotta dal sistema immunitario in risposta a batteri, virus o parassiti.

Bloccare la molecola nei topi usando la modifica genetica ha reso le regioni del cervello iperattive, causando nei topi comportamenti meno sociali. Ripristinare la molecola ha ristabilito la connettività e il comportamento normale del cervello. In un documento edito su Nature illustra i loro risultati: i ricercatori hanno evidenziato che la molecola immunitaria svolge un “ruolo fondamentale nel mantenere una corretta funzione sociale“.

Quali sono le implicazioni?

I ricercatori notano che un sistema immunitario mal funzionante può essere responsabile di “deficit sociali in numerosi disturbi neurologici e psichiatrici”. Tuttavia per sapere esattamente cosa potrebbe significare per l’autismo e altre condizioni specifiche sono richieste ulteriori indagini. È improbabile che una sola molecola sia responsabile della malattia o della chiave di una cura. I ricercatori ritengono che le cause siano probabilmente molto più complesse.

La scoperta che il sistema immunitario – e forse germi, per estensione – può controllare le nostre interazioni solleva molti percorsi emozionanti per gli scienziati da esplorare, sia in termini di lotta contro i disturbi neurologici sia per la comprensione del comportamento umano.

Mappa del sistema linfatico: a sinistra il vecchio schema, a destra il nuovo schema del sistema linfatico.

Le molecole immunitarie stanno in realtà definendo come funziona il cervello. Quindi, qual è l’impatto globale del sistema immunitario sul nostro sviluppo e funzione cerebrale?

sostiene Kipnis.

Penso che gli aspetti filosofici di questo lavoro sono molto interessanti, ma hanno anche implicazioni cliniche potenzialmente molto importanti.

I risultati

Kipnis e la sua squadra hanno lavorato a stretto contatto con il Dipartimento di Farmacologia UVA e con il gruppo di ricerca di Vladimir Litvak presso l’Università di Massachusetts Medical School. Il team di Litvak ha sviluppato un approccio computazionale per indagare il complesso dialogo tra la segnalazione immunitaria e la funzione cerebrale sia in stati di salute che di malattie.

Utilizzando questo approccio abbiamo previsto un ruolo importante per l’interferone gamma, la citochina secreta dai linfociti T, per promuovere funzioni cerebrali sociali.

ha detto Litvak.

I nostri risultati contribuiscono ad una comprensione più profonda della disfunzione sociale nei disturbi neurologici, come l’autismo e la schizofrenia, e possono aprire nuovi percorsi per approcci terapeutici.

MDPHARMA_banner

Informazioni autore

monsterid

Francesca Albano

Nasco come autrice, per poi occuparmi della redazione di articoli di altri autori e collaboratori esterni. Gestisco il team e sono in continua crescita e formazione professionale. Mi occupo anche di gestione dei Social Media e di collaborazioni esterne con altri portali biomedicali e aziende del settore.
Studio Ingegneria Biomedica presso il Politecnico di Torino e nutro una forte passione per la tecnologia e l'informatica non solo in campo medico! Credo fermamente nella divulgazione scientifica.

Registrati alla nostra newsletter

Un commento

Commenta l'argomento nel forum