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Tecnologie di supporto

5G e salute, tra paura e innovazione: un’intervista per far chiarezza

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Scritto da Mario Roberto

A fine febbraio scorso, a Barcellona, durante il Mobile World Congress (MWC), una delle più grandi fiere tecnologiche mondiali, la protagonista indiscussa dell’interesse del pubblico è stata la tecnologia 5G. La nuova frontiera della telefonia cellulare è al centro dell’attenzione di milioni di utenti per la rivoluzione che porterà nel mondo delle telecomunicazioni mobili grazie alla sua velocità e versatilità. Tuttavia, insieme agli entusiasti, esiste anche una fetta della popolazione critica e scettica, preoccupata dei pericoli alla salute che ritiene possano derivare dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati dalle antenne installate a supporto delle nuove connessioni.

Prima di entrare nell’argomento degli effetti sull’uomo, vediamo innanzitutto brevemente in cosa consiste questa rivoluzione tecnologica.

La rete di 5° generazione

Con il termine 5G si indica la tecnologia di quinta generazione, successiva a quella comunemente nota come LTE (Long Term Evolution). Con essa, saremo capaci di raggiungere velocità di download di circa 5 Gbps con una latenza inferiore a 2 millisecondi: due caratteristiche che regaleranno agli utenti servizi di rete di gran lunga più affidabili e una velocità di accesso all’informazione mai vista prima.

Abbiamo chiari esempi che testimoniano i vantaggi della nuova tecnologia: la maggiore sicurezza nelle auto a guida autonoma, l’implementazione dell’intelligenza artificiale e diversi notevoli sviluppi in campo biomedicale.

Il 5G può essere utilizzato per permettere di comandare a distanza macchinari per interventi chirurgici: il medico può costantemente tenere d’occhio i parametri del proprio paziente attraverso sensori impiantati nel corpo.

Leggi anche: 5G e chirurgia: un intervento lungo 3000 km

Per avere queste prestazioni e questi benefici, l’Italia, come tutto il resto del mondo, si dovrà dotare dell’opportuna infrastruttura di rete attraverso l’installazione, da parte dei gestori telefonici, delle antenne in grado di supportare la nuova tecnologia.

Per le caratteristiche tecniche del sistema 5G, la capillarità della rete sul territorio dovrà essere ben maggiore di quella attuale, il che comporterà un aumento delle antenne. È proprio il maggior numero di sorgenti l’elemento che ha suscitato in molte persone lo scetticismo di cui si parlava prima, poiché si ha il dubbio che al maggior numero di antenne corrisponda un livello di alto di campi elettromagnetici a cui saremo sottoposti, con conseguenti possibili effetti negativi sulla salute.

A sostegno di questa tesi, sono facilmente reperibili in rete diversi articoli o video che generano panico facendo leva sulla disinformazione e/o difficoltà dell’argomento trattato.

Per fare chiarezza sul tema, abbiamo ritenuto opportuno realizzare un’intervista ad una figura che identifichiamo come autorevole nel contesto dedicato. Abbiamo chiesto al Prof. Nicola Pasquino, Professore di Misure per la Compatibilità Elettromagnetica all’Università di Napoli Federico II, di fare da portavoce della comunità scientifica, anche in virtù dei suoi incarichi di responsabile scientifico del Laboratorio di Compatibilità Elettromagnetica del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione, di coordinatore della Commissione Speciale “Esposizione Umana ai Campi Elettromagnetici” dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli e, dallo scorso luglio, di Presidente del CT106 “Esposizione Umana ai Campi Elettromagnetici” del CEI.

A livello cellulare, cosa provoca l’esposizione ai campi elettromagnetici?

Sul web l’esempio che molte persone portano a sostegno della tesi che le onde elettromagnetiche siano dannose per l’uomo è l’esperimento fatto dall’istituto Ramazzini di Bologna su una popolazione di ratti, i quali hanno riscontrato una forma tumorale della guaina mielinica. È statisticamente accettabile l’esperimento? Anche l’uomo risponde alla stessa maniera dei ratti?

I ratti, come molti altri animali, sono spesso usati come modello dell’uomo. Tuttavia, come sempre avviene per gli studi in vivo, ritenere che i risultati ottenuti per le cavie valgano anche per l’uomo, senza ulteriori approfondimenti, è sbagliato.

La ricerca citata, in particolare, si riferisce ad esperimenti su ratti esposti a campi elettromagnetici di ampiezza fino a 50 V/m, alla frequenza di 1800 MHz (a tutti gli effetti uguale a quella che viene impiegata per i sistemi 4G e 5G in Italia) per 19 ore al giorno per tutta la vita dei ratti. I risultati evidenziano un incremento di rischio associato a tre tipi di tumori, ma solo per il livello di esposizione più alto. In aggiunta, gli autori stessi, già nell’abstract dell’articolo che riporta i risultati, dichiarano che dei tre incrementi di rischio, due sono statisticamente non significativi. A questo devo aggiungere che l’unico esperimento statisticamente significativo, poi, è relativo a livelli e durata dell’esposizione a cui mai un essere umano sarà sottoposto durante la propria vita.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana 8/7/2003, decreto attuativo della legge quadro sui campi elettromagnetici del 2001, pone a 6 V/m il limite per l’esposizione ai campi in alta frequenza.

Come è stato scelto questo valore di riferimento?

Partiamo dall’Europa: l’ICNIRP (ai cui documenti l’Europa si riferisce) suggerisce, fin dal 1998, di fissare il limite per la popolazione a circa 60 V/m, evidenziando però che esso è cautelativo solo per gli effetti acuti, ovvero quelli che si riscontrano durante l’esposizione. L’Italia, ritenendo che questo approccio non fosse sufficientemente cautelativo con riferimento agli effetti di lungo periodo, ovvero quelli che si subiscono per esposizioni prolungate a livelli più bassi, ha deciso di applicare un fattore di riduzione. Ecco perché nei luoghi destinati a permanenza prolungata, come ad esempio le abitazioni, ma anche nelle scuole, nei parchi pubblici, negli ospedali, il limite è stato abbassato a 6 V/m. Questo stesso valore è inteso dal Legislatore come obiettivo di qualità, ovvero come valore a cui tendere in ogni luogo per minimizzare progressivamente i livelli di esposizione della popolazione.

E’ corretto considerare il Tasso di Assorbimento Specifico (SAR) l’unico parametro di riferimento alla luce delle tante evidenze di elettrosensibilità di un importante parte della popolazione?

Il SAR è adottato secondo la legge corrente dalle industrie per valutare l’entità dell’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenze in campo vicino.

Il SAR indica quanta potenza viene dissipata nell’unità di massa e viene tipicamente riportato in termini di W/kg. A tale dissipazione di potenza consegue un aumento di temperatura, unico effetto dell’esposizione ai campi elettromagnetici in alta frequenza accertato dalla Scienza. È perciò abbastanza normale che i produttori dei dispositivi, in particolare dei cellulari, si riferiscano al SAR per indicare gli effetti sull’uomo determinati dall’uso dei loro prodotti. Tuttavia, la determinazione del SAR si basa su modelli numerici dell’uomo che, come tali, non possono certo rappresentare ogni singolo essere umano. In altre parole, l’aumento di temperatura non sarà uguale per tutti gli utenti che usano lo stesso cellulare.

La cosiddetta elettrosensibilità, invece, allo stato non è riconosciuta dalla scienza come sindrome proprio perché non c’è alcuna evidenza scientifica che si tratti di un effetto biologico (e ancora meno sanitario) dei campi elettromagnetici anziché, piuttosto, di un condizionamento psicologico da parte di chi dichiara di soffrirne.

Con l’avvento dell’IoT, negli spazi aperti ma anche negli ambienti di vita limitati come uffici, scuole, ambienti di casa, l’interazione di tutte queste sorgenti a stretto accoppiamento con le persone non è mai stato sperimentato.

Come potrà essere spiegato, in modo elementare, l’assoluta salubrità di questi nuovi scenari?

Partendo dal presupposto che la “assoluta salubrità” non è dimostrabile, e che proprio in base a questo assunto il mondo della ricerca continua a svolgere i suoi studi, ritengo che, sulla base dei risultati della ricerca attuale, si possa dire che il livello di potenza emessa da questi dispositivi è così basso da non dover generare preoccupazioni nella popolazione.

Con l’avvento del 5G, la densità di antenne poste sul territorio aumenterà.

Questo farà sì che venga superato il limite di esposizione ai campi elettromagnetici imposti dalla legge?

Assolutamente no, per due motivi. Innanzitutto, per una questione tecnica: se aumenta la densità delle antenne sul territorio, la potenza irradiata da ciascuna di esse si riduce, per evitare che i diversi segnali generati interferiscano tra di loro causando un peggioramento della qualità del segnale. In secondo luogo, il limite imposto dalla legge non si riferisce ad una singola antenna ma alla somma dei contributi di tutte le sorgenti: le antenne potranno anche aumentare, ma la potenza emessa dovrà essere tale da far sì che il campo totale non superi il limite di legge.

In questo senso, il 5G ha, in prospettiva, un vantaggio: irradia potenza solo dove serve il segnale. In altre parole, se in una zona ci sono persone che non stanno usando il cellulare, quelle persone saranno meno esposte al campo elettromagnetico perché il sistema non irradierà potenza nella loro direzione.


Ringraziamo il Prof. Ingegnere Nicola Pasquino per la partecipazione ai contenuti.

Progetto Wireco Ciminna in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri di Palermo. “L’Esposizione umana ai campi elettromagnetici, l’efficientamento energetico e la valorizzazione dell’ambiente”
©Wireco 12/07/2019. Tutti i diritti sono riservati
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Mario Roberto

Studente di ingegneria biomedica a Pisa. Interessato a tutto ciò che riguarda la tecnologia e soprattutto alle innovazioni, frutto della ricerca in campo biomedico

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