Quando abbiamo conosciuto l’équipe medica del Centro NeMO di Napoli, noi di IngegneriaBiomedica.org siamo rimasti piacevolmente colpiti dal numero di donne, giovani ed appassionate, che lavorano per trovare soluzioni alle difficoltà e al limite fisico di alcuni pazienti neuromuscolari.
NeMO è l’acronimo di “NeuroMuscular Omnicentre”, perché è di queste malattie che i centri clinici NeMO, sparsi per tutta Italia, si occupano. Formalmente si tratta di unità operative complesse per la gestione di malattie neuromuscolari, delle quali la fase acuta e le complicanze sono le specialità.
Ciò che rende NeMO unico nel suo genere è il suo modello di cura: l’esperienza si sviluppa intorno alla persona e ai suoi bisogni, con una particolare attenzione a cinque aree funzionali: respiro, comunicazione, nutrizione, cura del sé e movimento.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare la terapista occupazionale Paola Masiello, per parlare soprattutto degli aspetti comunicativi del trattamento di pazienti neuromuscolari, investigando ausili, tecnologie e approcci per massimizzare le funzionalità residue.
I pazienti che incontriamo più spesso al centro NeMO sono affetti da patologie neuromuscolari e neurodegenerative come Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e distrofie – le più comuni -, ma anche Atrofia Muscolare Spinale (SMA) e miotonie (caratterizzate da una difficoltà a rilassare i muscoli dopo averli volontariamente contratti). Per capirci meglio, entriamo brevemente nel dettaglio di tali patologie.
La SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. Le cause della SLA sono ancora sconosciute; ma è chiaro che si tratti di una malattia multifattoriale. Al momento non esiste una terapia capace di guarire questa condizione, esistono però delle terapie per rallentarne la progressione.
Le distrofie sono invece malattie neuromuscolari ereditarie che determinano la perdita di funzione, la riduzione o l’assenza di proteine necessarie per la stabilità muscolare, per le quali non esistono terapie risolutive.
Il fattore genetico è anche causa della SMA, una malattia rara che colpisce soprattutto in età pediatrica e che comporta la perdita progressiva dei neuroni che trasportano i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli, controllandone il movimento.
Come potete vedere, si tratta di malattie evolutive, per cui non tutti i pazienti sono allo stesso livello di mancata autonomia: ci sono pazienti che hanno un eloquio perfetto, alcuni che non sono in grado di muovere bene le mani e altri che ne hanno perso completamente l’uso motorio (e.g., i plegici degli arti superiori). Altri pazienti sono invece tracheotomizzati e quindi impossibilitati ad usare la via fonatoria, altri ancora sono capaci di usare la lingua, ad esempio, per attivare sistemi di ventilazione con boccaglio, alcuni non hanno altro che il movimento oculare (i cosiddetti pazienti locked-in, il cui organismo è in paralisi muscolare completa).
Spesso il paziente accede ai centri NeMO già con delle difficoltà nella vocalizzazione, che non gli permettono di comunicare esigenze algiche e fisiologiche e volontà relazionali, ma di cui ha piena consapevolezza. In questi casi bisogna trovare dei modi comunicativi alternativi, affidandosi ai movimenti che rimangono. Sovente, nel caso della SLA, l’unico movimento che rimane è quello oculare.
All’interno dei Centri Clinici NeMO coesistono 23 specialità cliniche che vanno a comporre l’équipe medica e l’équipe riabilitativa. Nell’équipe medica troviamo figure come neurologi, fisiatri, cardiologi, pneumologi, rianimatori, OSS e infermieri. Nell’équipe riabilitativa vi sono fisioterapisti motori e respiratori, logopedisti, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, terapisti occupazionali, nutrizionisti e psicologi.
Il team è multidisciplinare, quindi ognuno dà il suo contributo per assistere il paziente e renderlo più autonomo.
Io, come terapista occupazionale, mi occupo di valutare i contesti di vita e le necessità correlate, e sfruttare al massimo le competenze del paziente per continuare ad esistere come persona attiva in tutti i sensi.
Un aspetto comune, se vogliamo, è la primissima reazione agli ausili e alle tecnologie comunicative: il paziente in genere non accetta subito questi dispositivi, pur sapendo che possono portarlo ad avere una maggiore autonomia e quindi una maggiore partecipazione.
Soltanto dopo alcune prove, il soggetto si rende conto di quanto tali strumenti siano utili e necessari. Finisce quindi non solo per accettarli, ma non ne può più fare a meno: diventano parte integrante della persona.
Un’ultima parte della squadra, ma non meno importante, è costituita dalla famiglia del paziente. Quello dei pazienti affetti da malattie neuromuscolari progressive è un percorso che dura una vita e la famiglia ha un ruolo fondamentale. La famiglia convive col paziente nel ricovero e nell’extra ricovero, ed è spesso oggetto di frustrazioni dovute a incomprensioni con il paziente. Quest’ultimo tenta di comunicare ad esempio con il movimento degli occhi o con delle mimiche che non sono funzionali, mentre il caregiver si sforza di capire nonostante il limite verbale e ciò provoca avvilimento per entrambi.
Le tecnologie e strategie CAA vengono usate per compensare i gravi problemi di linguaggio. Nei centri NeMO le strategie comunicative vengono identificate insieme al paziente.
Per far ciò, in primis, si valuta la sua capacità residua – cioè le abilità motorie volontarie in quel dato momento. Poi si procede con la presentazione delle alternative da parte dell’operatore sanitario, il quale aiuta il paziente nel provare le soluzioni attraverso test di scrittura e dialogo e registra la sua risposta fisica ed emotiva. Infine l’operatore comunica al medico l’esperienza e quest’ultimo procede con la prescrizione.
Uno dei principali dispositivi utilizzati per la comunicazione è il tablet che, per chi preserva la mobilità alla mano, può essere utilizzato con programmi specifici, alcuni dei quali contengono griglie in cui si trova il valore del contenuto comunicativo. Il contenuto può essere scelto tra serie diverse di attività, luoghi, sentimenti.
Diversi sono i software di base per i dispositivi di CAA, tra questi troviamo per esempio il Grid 3, tra i principali Doc e Communicator 5 o, ancora, il Clicker 8. Questo tipo di applicazioni sono in grado di emettere una voce e predisporre delle griglie personalizzabili sulla base delle esigenze del paziente: ad esempio, oltre la classiche “scheda bisogni” e “scheda controllo ambientale”, si può aggiungere una scheda per il lavoro se il paziente lavora, o una per la scuola se va a scuola.
Ci sono anche molte modalità di comunicazione: il sistema base ha diversi tipi di tastiere ed il paziente può scegliere quella più funzionale o che preferisce.
Le tecnologie CAA possono tradursi poi in campanelli e pulsanti che permettono di valorizzare i movimenti residui del paziente e codificare i messaggi per poter esprimere i bisogni essenziali, ad esempio “sì” o “no”.
Infine, per i pazienti le cui abilità residue per la comunicazione sono limitate al movimento degli occhi, la scelta tecnologica ricade sui puntatori oculari: si tratta di puntatori a infrarossi che captano il movimento della pupilla e, quindi, vanno a selezionare le celle nella griglia e produrre il valore del contenuto comunicativo.
Per i pazienti in stadio avanzato, altri strumenti simili sono quelli che decodificano le smorfie o una particolare chiusura degli occhi e, come misura estrema, i pupillometri. Questi ultimi vengono usati in area critica per valutare il bisogno algico: quando il paziente soffre, i parametri basali cambiano e la pupilla si allarga.
I “comunicatori “sono certamente utili per far sì che il paziente affermi i propri bisogni e la propria identità, ma hanno dei limiti. Uno dei questi è dato dalla voce metallica, che risulta impersonale e inadatta alla comunicazione. Per questo motivo stiamo lavorando nel convincere i nostri pazienti a registrare dei messaggi prima della progressione della malattia, per costruire dei database della loro voce, come voice banking o message banking.
Il futuro di NeMO ha il sapore della ricerca.
Il 21 aprile è nato a Milano il NeMO Lab, per ampliare l’offerta nel campo della ricerca e continuare a lavorare nel migliorare la qualità della vita dei pazienti. Il NeMO Lab è l’hub tecnologico italiano per la ricerca e lo sviluppo di dispositivi e soluzioni innovative per pazienti affetti da malattie neurodegenerative e neuromuscolari. Si tratta di un complesso di 9 laboratori high tech, nei quali si creeranno soluzioni di telemonitoraggio e biorobotica, ausili e dispositivi ortopedici pioneristici, componenti stampati in 3D, programmi di riabilitazione e progetti di realtà aumentata. Il tutto allo scopo di migliorare autonomia, mobilità, comunicazione e, perché no, divertimento di ogni paziente neuromuscolare.
Grazie Paola! A presto!