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Tecnologie di supporto

Soft Robotics: la nuova frontiera della robotica

Scritto da Federico Fabrizi
La soft robotics è uno dei settori emergenti della biorobotica e smentisce la credenza secondo la quale un robot, per funzionare ed essere efficiente, deve necessariamente essere costituito da un insieme di strutture rigide. I soft robot sono realizzati con materiali morbidi e flessibili, si ispirano alla natura e sono in grado di interagire in modo più sicuro con l’uomo e l’ambiente esterno.

Questi robot “soffici” hanno capacità di adattamento superiori a quelle dei robot tradizionali: possono allungarsi, torcersi, deformarsi, esattamente come le specie animali e vegetali dalle quali prendono ispirazione.

Per arrivare a questo risultato, gli studiosi hanno dovuto sperimentare molte possibili composizioni chimiche, mescolando polimeri e acqua e sviluppando soluzioni per far aderire i robot a diversi tipi di superficie e renderli più resistenti. La differenza sostanziale rispetto ad altri robot in silicone è la composizione assolutamente biocompatibile.

Da qualche tempo, gli scienziati osservando il mondo naturale hanno notato che ci possono essere dei modelli di robot basati su molte specie di animali, molto più promettenti ed utili di robot basati sulla struttura degli esseri umani.

La struttura umana è difficile da modellare tramite un robot. Le articolazioni umane sono difficili da ricreare e il bipedismo è una condizione molto limitante. Inoltre, la forma umana non è l’ideale per svariati compiti per cui sono spesso utilizzati i robot, come le operazioni di ricerca e salvataggio in spazi ristretti. Invece, creature senza ossa hanno un minor numero di limitazioni e sono disponibili in una grande varietà di forme.

In natura esistono numerosi animali, che possono facilmente salire attraverso piccoli spazi, sui muri, o nuotare a grandi profondità. Con piccole modifiche alla loro struttura base, molte di queste forme potrebbero manipolare oggetti. La chiave per sviluppare un soft robot invertebrato, è usare il materiale perfetto. In un organismo animale, i tessuti e sistemi sensoriali sono perfettamente integrati all’interno dell’animale.

Fino a poco tempo fa, per costruire una qualsiasi macchina, come un robot, molte piccole parti dovevano essere fabbricate separatamente, e successivamente assemblate insieme per andare a creare il robot vero e proprio. In questo modo, utilizzando parti meccaniche in movimento collegate tra loro, l’ondulazione continua e fluida di un bruco per esempio non potrebbe mai essere perfettamente replicata e quindi realizzata. Oggi, però, grazie allo sviluppo della tecnologia, a nuovi processi produttivi molto sofisticati e alla stampa 3D si possono fabbricare componenti integrati, senza più la necessità di parti meccaniche ad incastro. Attuatori, sensori, e altre parti possono essere creati in un materiale composito.

Octobot: il primo soft-robot completamente autonomo

Il polpo è un animale particolarmente interessante per ispirare la creazione di un robot, essendo famoso tra gli esseri animali per la sua capacità di passare attraverso piccole fessure e per la sua abilità di afferrare qualsiasi oggetto, attraverso i suoi tentacoli.

Da un team di ricercatori dell’Università di Harvard giunge una dimostrazione del primo “soft-robot” completamente autonomo, nella forma di un piccolo e simpatico polpo: si tratta di un importante passo avanti nel mondo della ricerca tecnologica poiché ha le potenzialità di preparare il terreno ad una nuova generazione di macchine autonome realizzate con materiali morbidi e deformabili, che non hanno bisogno di particolari sistemi di alimentazione.

Robert Wood, tra gli accademici che ha coordinato la ricerca, ha commentato:

Una visione di lungo corso per il campo della soft robotics è stata la creazione di robot che siano completamente morbidi, ma la difficoltà è sempre stata rappresentata dalla sostituzione di componenti rigidi come le batterie e i controlli elettronici con analoghi sistemi morbidi e quindi riuscire mettere assieme il tutto. Questa ricerca dimostra che si può facilmente produrre i componenti chiave di un robot semplice, interamente morbido, che rappresenta le fondamenta per progetti più complessi.

Basandosi su un approccio di assemblaggio ibrido il team di ricercatori è stato in grado di stampare in 3D ciascuno dei componenti funzionali richiesti dal corpo del soft robot. Octobot, questo il nome del piccolo robot, è la concretizzazione semplice di un concetto che dimostra la possibilità di adottare strategie di produzione additiva e progettazione integrata per poter integrare funzionalità autonome. Del resto i polpi sono stati spesso una fonte di ispirazione per la soft robotics in virtù delle loro particolari caratteristiche fisiche e anatomiche che permettono loro di esercitare forza e muoversi con destrezza pur in assenza di uno scheletro interno.

Il piccolo Octobot è di tipo pneumatico, cioè funziona sulla base della trasformazione di una piccola quantità di liquido (il perossido di idrogeno, che è la comune acqua ossigenata) in gas che scorre nei tentacoli del robot e li gonfia come dei palloncini, creando così il movimento.

Per controllare la reazione il team ha usato una circuiteria logica di microfluidica basata sul lavoro del chimico George Whitesides. Il circuito, che funziona nel concreto come un semplice oscillatore elettronico, controlla la trasformazione del perossido di idrogeno in gas all'interno del piccolo robot.

Le fonti di alimentazione per i soft robot si sono sempre basate su un qualche tipo di componente rigido. La cosa straordinaria per il perossido di idrogeno è che una semplice reazione con un catalizzatore – platino, in questo caso – ci permette di sostituire le fonti di alimentazioni rigide – spiegano i ricercatori.

Come mostrato nel diagramma, il combustibile è il perossido di idrogeno liquido (H2O2) che l’oscillatore riceve da uno dei due serbatoi del combustibile e alimenta una delle due camere di reazione. Nell’oscillatore, valvole a pinza si comportano come transistor JFET. La camera di reazione contiene una piccola quantità di platino, come catalizzatore, che reagisce con il perossido di idrogeno per rilasciare un molto più grande volume di gas ossigeno agli attuatori, che fanno muovere i tentacoli. Tali attuatori si espandono come palloncini e consentono in questo modo il movimento. Al livello di progettazione elettronica dal diagramma si possono osservare le analoghe corrispondenze tra parti meccaniche ed elettroniche, ad esempio le camere di reazione sono analoghe agli amplificatori oppure gli orifizi a delle resistenze.

Il soft robot è stato fabbricato combinando tre diversi tecniche: la stampa 3D, la modellatura a stampo e la litografia ad elastomeri. La combinazione di questi metodi consente di produrre velocemente dispositivi morbidi e la semplicità di assemblaggio prepara il terreno per progetti più complessi. Il team di ricercatori di Harvard si sta ora orientando verso la progettazione di una nuova versione di Octobot, in grado di muoversi sul terreno, nuotare e interagire in qualche modo con l’ambiente circostante.Il soft robot più resistente al mondo

Il soft robot indistruttibile

Nel 2014, sempre un team di ricercatori di Harvard ha realizzato uno dei primi soft robot in gomma siliconica, praticamente indistruttibile. Si muove in modo autonomo, resiste al fuoco, all’acido e a temperature ampiamente sotto lo zero. Funziona a batterie e può sollevare carichi fino a 3,4 kg.

Il soft robot invisibile

Un robot invisibile è un robot fatto con un gel molto particolare, chiamato idrogel, una sostanza composta per la quasi totalità di acqua. Lo hanno progettato e realizzato gli ingegneri del Massachussets Institute of Technology di Boston. Questo robot invisibile è un soft robot, un robot soffice e trasparente. Questo nuovo tipo di soft robot apre un altro interessante e affascinante versante di studio e approfondimento per la biorobotica. Tali robot possono compiere delle azioni anche abbastanza complesse come afferrare oggetti e rilasciarli sfruttando la sola spinta dell’acqua.

Ogni robot è formato da una serie di strutture cubiche a base di idrogel assemblate insieme.

Quando l’acqua viene pompata all’interno di queste strutture i robot si accorciano e si allungano e questo movimento permette loro di muoversi.

Un soft robot invisibile, essendo fatto nella sua quasi totalità di acqua è un robot subacqueo e l’acqua è il suo ambiente naturale. Nel video di presentazione realizzato dal MIT, lo vediamo afferrare un pesce e rilasciarlo subito dopo. Questa prova ci dà una idea precisa della sua velocità, della sua forza e resistenza. Ma soprattutto è una conferma di quanto è morbido questo robot.
Fare la stessa operazione con i bracci meccanici di altri materiali è praticamente impossibile senza condannare a morte il pesce. I ricercatori di Boston hanno inoltre realizzato diverse tipologie di robot: quello a forma di pinna che si muove avanti e indietro, quello che replica dei piccoli calci, o quello che assomiglia a una mano. In ogni caso possono essere tutti completamente invisibili sott’acqua. Per realizzare questi soft robot fatti di idrogel, i ricercatori si sono ispirati alla natura, in particolare ai leptocefali, le larve di alcuni tipi di pesci, e alle anguille cieche e in particolare alla loro capacità di diventare trasparenti e mimetizzarsi per difendersi dai predatori durante le migrazioni.

ll vero scopo di questo progetto di ricerca guidato dal professore Xuanhe Zhao e dal dottorando Hyunwoo Yuk è impiegare questi robot in ambito medico.

L’idrogel è biocompatibile, cioè è compatibile con gli organi umani. Questo lascia intravedere la possibilità che in futuro questi robot possano trovare applicazione anche in campo medico. Stiamo collaborando con gruppi medici per trasportare questo sistema su manipolatori in grado di massaggiare in maniera delicata i tessuti e gli organi nelle operazioni chirurgiche.

Pisa e Genova capitali della soft robotics

L’ Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è uno dei templi mondiali della soft robotics, un punto di riferimento per chi crede nelle potenzialità di questa nuova generazione di robot. Da anni coordina e sponsorizza una serie di progetti di ricerca internazionali, alcuni davvero pionieristici. A cominciare da Octopus e PoseiDRONE, due soft robot che si comportano come dei veri cefalopodi.

Anche in ambito medico i ricercatori del Sant’Anna hanno offerto un valido contributo, sviluppando il robot chirurgico STIFF-FLOP, un endoscopio a rigidità variabile che garantisce l’esecuzione di interventi complessi attraverso un approccio mini invasivo.

Al progetto ha partecipato, tra gli altri, anche l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova che alla soft robotics, ormai da anni, dedica studi e ricerche ad ampio raggio.
Da Plantoid – pianta robot con radici sensorizzate pensata per l’esplorazione del sottosuolo e la bonifica ambientale – a SoftHand Pro, una mano robotica in materiale plastico collegata all’avambraccio tramite sensori che recepiscono gli impulsi muscolari. Stampata in 3D, SoftHand Pro non necessita di intervento chirurgico per essere impiantata.

Un’altra collaborazione molto recente nel campo della soft robotics è quella tra la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, che co-finanziano due posti nel corso di dottorato in Biorobotics: un corso triennale di studi avanzati e di ricerca supervisionata. Le attività di ricerca si svilupperanno in modernissimi laboratori. I vincitori della selezione, dovranno progettare e sviluppare un robot per micro-chirurgia e per l’esplorazione dei fondali marini basati sullo studio dei modelli animali: un lavoro di ricerca molto interdisciplinare. La storica stazione zoologica di Napoli metterà a disposizione le grandi competenze di biologia marina, mentre la scuola superiore Sant’Anna di Pisa si occuperà, prevalentemente della parte di biorobotica.

Riferimenti ed approfondimenti:
Il futuro della chirurgia endoscopica: braccia robotiche più leggere e resistenti
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Informazioni autore

Federico Fabrizi

Studente di 21 anni, iscritto alla facoltà di Ingegneria Elettronica all'Università Sapienza di Roma. Interessato al campo della bioelettronica e dell'elettronica organica. Ha una grande passione per la divulgazione scientifica, in particolare nel campo biomedicale.

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