Le tecniche di riparazione tendinea odierne hanno diverse limitazioni che in molti casi non rendono possibile il completo recupero della motilità. Al Politecnico di Torino, un gruppo di giovani ricercatori, coadiuvato da professori ed esperti del settore, sta studiando un nuovo dispositivo per consentire di ottenere un recupero funzionale totale e in tempi brevi.
T- REM3DIE, così si chiama questo ambizioso progetto, si occupa dello sviluppo di questo sistema innovativo. I ragazzi del team hanno raccontato ai nostri partner di DayOne come è nato e come si è sviluppato questo dispostivo.
Quando e come nasce l’idea alla base del vostro progetto?
Il progetto è nato nel 2016, in seguito all’incontro tra la prof.ssa Cecilia Surace, nostro mentore e titolare della cattedra del corso di scienza delle bio e nano costruzioni al Politecnico di Torino, e la dott.ssa Federica Bergamin dell’Azienda Sanitaria Locale TO4, specializzata in Ortopedia e Traumatologia ed in particolare esperta di interventi di chirurgia tendinea. L’idea è nata dal bisogno clinico espresso dalla dottoressa, che era alla ricerca di una soluzione migliore rispetto alle attuali tecnologie di riparazione dei tendini.
Da lì è partita una collaborazione permanente ed una fase embrionale del progetto, a cui si è aggiunto il prof. Nicola Pugno dell’Università di Trento, esperto di fama internazionale nell’ambito della meccanica bioispirata. Attualmente il progetto coinvolge a vario titolo anche altri esperti sia del mondo accademico italiano che dell’industria dei materiali medical grade (per uso medico, NdR.) a livello internazionale.
Il progetto ha avuto poi una svolta decisiva nel 2019 con la vittoria del bando Proof of Concept del Politecnico di Torino; questo ci ha permesso di formare il nostro team di ricerca corrente e di giungere allo stato di sviluppo attuale.
In cosa consiste la tecnologia sviluppata?
La nostra tecnologia riguarda un dispositivo biocompatibile e bioassorbibile per la riparazione di tendini e legamenti, applicabile sia in ambito medicale sull’essere umano sia in ambito veterinario. L’idea è di distribuire le tensioni trasmesse dai tendini sulla parte lesionata in modo più fisiologico e meno traumatico rispetto all’usuale tecnica con filo di sutura, con grandi miglioramenti per la qualità della salute del paziente ma anche ingenti risparmi per il sistema sanitario nazionale.
Quali vantaggi presenta rispetto alle soluzioni attualmente sul mercato?
Il nostro team ha svolto numerose ricerche per delineare i limiti delle soluzioni attualmente proposte e per definire i passaggi necessari a superarli. Ci siamo concentrati sia sulle soluzioni esistenti in commercio sia sulle proposte e brevetti che sono rimasti puramente confinati allo stato di ricerca e che non sono mai giunti sul mercato.
Abbiamo svolto numerose simulazioni numeriche e soprattutto prove sperimentali, grazie alle attrezzature del Politecnico di Torino e degli altri enti di ricerca coinvolti. In particolare, abbiamo svolto sia prove di laboratorio su tendini suini posti in trazione uniassiale, sia prove di carico svolte su cadavere all’Università di Nizza in Francia.
Comparando i nostri risultati sperimentali con i dati riportati nella letteratura scientifica e con i valori dichiarati dalle aziende (quando disponibili), il nostro dispositivo è risultato avere la più alta resistenza ultima a trazione tra le alternative non metalliche, nonché la maggior resistenza ultima del complesso tendine-dispositivo. Abbiamo infatti considerato numerosi fattori, quali la resistenza dell’ancoraggio tra il dispositivo al tendine e la resistenza del tessuto tendineo o legamentoso allo sfilacciamento, che sono stati spesso trascurati da altri studi medici similari.
Tra gli altri vantaggi della nostra soluzione possiamo citare il minor rischio di infiammazione ed infezione e la biodegradabilità controllata del dispositivo, che viene naturalmente riassorbito nei mesi successivi alla rimarginazione della lesione tendinea senza bisogno di reintervento. Inoltre, la superficie esterna liscia del dispositivo ne permette lo scorrimento senza ostacolo. Abbiamo comprovato tramite le prove su cadavere che questo, unito alla maggiore resistenza e stabilità della tenuta, permette di svolgere esercizi fisioterapici standard immediatamente dopo l’operazione chirurgica. Questo è un grande vantaggio rispetto al filo di sutura tradizionale, il quale richiede un certo periodo di immobilizzazione post-operatoria prima di poter cominciare un qualsiasi percorso riabilitativo.
Per finire, la conformazione geometrica del dispositivo permette la corretta vascolarizzazione del tendine, riducendo l’accumulo di tessuto cicatriziale; mentre la maggior facilità di applicazione e la maggior rapidità di inserimento rispetto al filo di sutura comportano sia un minor rischio di lesione accidentale per il medico chirurgo sia un risparmio di tempi e di costi di occupazione delle sale operatorie.
Quanto ha influito la formazione e l’esperienza lavorativa precedente nella crescita del progetto d’impresa?
Ha influito moltissimo. Innanzitutto, veniamo da background accademici e da realtà culturali differenti e complementari.
Mariana Rodriguez Reinoso, assegnista di ricerca presso il Politecnico di Torino, è nata in Perù e vive a Torino oramai da molti anni, durante i quali ha conseguito sia la laurea triennale che quella magistrale di ingegneria biomedica presso il Politecnico, con specializzazione in biomeccanica. Lei è la nostra esperta di software CAD/CAM e di simulazioni numeriche; riesce a gestirne le diverse complessità, dalla geometria alle leggi costitutive al comportamento statico e dinamico dei tessuti organici e dei blend polimerici realizzati.
Oliver Grimaldo Ruiz, anche lui assegnista di ricerca presso lo stesso istituto, è colombiano. Formatosi come ingegnere biomedico all’Universidad de Antioquia ed al Politecnico di Torino, ha acquisito grandi competenze di additive manufacturing (fabbricazione additiva, NdR) e prototipazione rapida durante la sua permanenza alla Northwestern University di Chicago. Questo gli permette di sfruttare al massimo le potenzialità della stampante 3D a stereolitografia laser (SLA) a disposizione nel laboratorio di Bio-inspired Nanomechanics del Politecnico da cui operiamo. Inoltre, è un grande esperto nella realizzazione di modelli 3D a partire da immagini tomografiche e RMN (Risonanza Magnetica Nucleare, NdR) nonché della progettazione di dispositivi medici personalizzati.
Per concludere, Marco Civera, nato e cresciuto nella provincia di Torino, è il responsabile della parte meccanica e delle prove di laboratorio. Ingegnere strutturista di formazione e attualmente studente di dottorato presso il Politecnico di Torino, ha compiuto studi in Svizzera all’ École polytechnique fédérale de Lausanne e nel Regno Unito alla Cranfield University. Marco è coinvolto nel progetto e nelle attività del laboratorio Bio-inspired Nanomechanics da più di tre anni.
Avete ottenuto importanti riconoscimenti nella Start Cup Piemonte 2019. Cosa ha rappresentato per voi questo traguardo e quali sono gli obiettivi di business per il futuro?
In un certo senso, è stata una gradevole sorpresa. Sapevamo di essere stati convocati alla finale ma non immaginavamo di aver vinto il premio Jacobacci & Partners. Eravamo consci della bontà della nostra proposta ma anche del fatto che c’erano altri 194 progetti in gara. Il riconoscimento di una realtà internazionale importante come lo studio Jacobacci è stata una grande soddisfazione per noi. Questo soprattutto in quanto è stato premiato il nostro business plan e la nostra idea d’impresa, che avevamo realizzato da noi senza che nessuno avesse una formazione manageriale. Evidentemente, l’aiuto e le indicazioni che ci sono stati forniti negli anni, specialmente dall’Incubatore delle Imprese innovative (i3P) del Politecnico di Torino, hanno dato dei buoni frutti. Anche da un punto di vista pratico, i servizi di consulenza messi a disposizione dallo studio Jacobacci & Partners sono di grande aiuto per la tutela e la valorizzazione della nostra proprietà intellettuale.
Allo stato attuale, siamo attivamente alla ricerca di partnership e opportunità di finanziamento per compiere quegli ultimi steps che ci permettano di arrivare sul mercato. Stiamo procedendo a eseguire le prove di biodegradazione secondo quanto specificato dalle normative internazionali; purtroppo tali prove richiedono ovviamente tempistiche ben definite. Anche per questo stiamo parallelamente sviluppando il dispositivo ad uso veterinario, in quanto non necessita di marchio CE e può arrivare più velocemente alla vendita. In questo senso ci stiamo rivolgendo specialmente al segmento di mercato dei cavalli da corsa, per i quali le lesioni a tendini e legamenti rappresentano la seconda patologia più ricorrente tra le cosiddette Non-Fatal Career Ending Injuries (NFCEIs) e hanno un’alta willingness to pay, con il valore medio compreso tra i 5000 ed i 20000 € ad esemplare, fino ai milioni di euro per i grandi campioni. Inoltre, a breve fonderemo una start-up, in qualità di spin-off del Politecnico di Torino.
Immaginate di avere la macchina del tempo e di viaggiare 10 anni nel futuro. Come è cambiato il mondo grazie alla vostra idea?
Speriamo in meglio, senza dubbio. Ora come ora, in Italia si eseguono oltre 300.000 interventi all’anno per lesioni su tendini e legamenti, stando ai numeri che ci sono stati forniti direttamente dal Ministero della Salute. Abbiamo svolto un primo sondaggio su oltre trenta medici chirurghi specializzati nel settore, a cui in questi giorni ne stiamo affiancando un altro con un campione più vasto.
Da queste interviste risulta che il recupero ottimale della mobilità articolare (l’AROM, ovvero Active Range of Motion) a seguito di intervento chirurgico con metodologie tradizionali è ottimale in poco più di 4 casi su 10. Anzi, secondo il parere personale dei professionisti, è insufficiente in più del 26% dei casi. Risulta che in circa un paziente ogni sei il filo di sutura vada a rottura, costringendolo a subire un secondo intervento. Questo causa non solo una guarigione più lenta, incompleta e dolorosa al paziente stesso, ma intasa anche il sistema sanitario, con spese ulteriori e lunghi tempi di attesa. Infatti, oltre il 70% degli specialisti si è detto interessato a provare un dispositivo innovativo come quello da noi proposto.
Questo significa che ogni limitazione alla loro mobilità articolare ne condizionerà la vita e spesso le condizioni di salute e l’attività lavorativa per molti anni a venire. La nostra soluzione si propone di prevenire tutte queste conseguenze negative.