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Tecnologie di supporto Terapia e Chirurgia

Surgibox: la sala chirurgica portatile che rivoluziona la medicina d’urgenza

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Scritto da Lorenzo Morelli

Quando si parla di “operazione chirurgica” si instaura nell’immaginario collettivo la rappresentazione di una struttura ospedaliera e una sala avente un letto sul quale si effettuerà l’operazione. Ma a volte tutto questo viene a mancare. 

Guardando al nostro paese, basti pensare a due date che hanno ormai hanno segnato una delle pagine più tristi della storia d’Italia: 6 aprile 2009 e 24 agosto 2016, rispettivamente i terremoti de L’Aquila e di Amatrice. Strade bloccate da detriti, accesso ai soccorsi esclusivamente per via aerea e molte persone con necessità di trattamenti tempestivi di natura chirurgica, in forme più o meno gravi. L’innalzamento di ospedali da campo è stata, ed è tutt’ora, la soluzione d’emergenza più efficiente e rapida.

La presenza di quest’ultimi però si dà per scontata: anche non molto lontano dal nostro paese, nei paesi in via di sviluppo, polvere, sporco, batteri e le conseguenti infezioni virali di natura potenzialmente mortale (come nel caso dell’Ebola), sono i più comuni contaminanti con i quali ogni giorno i chirurghi devono confrontarsi; anche le condizioni ambientali non sono di aiuto : nella maggior parte dei casi ospedali da campo e strutture sanitarie sono soggetti a bombardamenti (esempio eclatante è quello avvenuto all’ospedale di Medici Senza Frontiere nel 2016 in Siria ad Aleppo), e calamità naturali come nei casi sopra menzionati. In questo modo la loro efficacia è messa a dura prova così come la vita degli occupanti: chirurghi e pazienti. 

Secondo uno studio del 2015 su “The Lancet”, 5 miliardi di persone non hanno accesso a cure chirurgiche sicure: ad oggi si stima che più di 85000 persone ogni anno vengano infettate sul luogo dell’operazione, e circa a 18 milioni non siano garantite operazioni di routine. Tutto ciò si traduce in un innalzamento della percentuale di mortalità a livello globale. Con Surgibox l’obbiettivo è dunque migliorare e in parte rivoluzionare la medicina d’urgenza. 

Daniel Frey, professore di ingegneria meccanica e direttore di ricerca della facoltà del D-Lab del MIT è stato colui che ha lavorato al progetto di SurgiBox con Debbie Teodorescu, fondatore e CEO dell’azienda, laureata in medicina alla Harvard Medical School, interessata all’ingegneria biomedica e affiliata anch’essa al centro di ricerca D-Lab (un luogo d’incontro tra studenti ricercatori e aziende per lo sviluppo e l’ottimizzazione di progetti sperimentali). Surgibox nasce dunque con l’intento di ricreare, in qualsiasi condizione ambientale (e in particolare dove c’è carenza di strutture cliniche di base) un “micro-ambiente” ad alto grado di sterilità, al pari di una sala operatoria canonica, nel quale i chirurghi possano operare garantendo un trattamento efficace e sicuro.

Il team dell’azienda nel gennaio del 2018 ha vinto la sovvenzione per il President’s Harvard Challenge di 70.000 dollari, ed era alla ricerca di uno studente laureato che potesse contribuire a migliorare il design ma soprattutto l’efficienza del prodotto: Sally Miller, dottoranda in Ingegneria Meccanica (e anch’essa facente parte del D-Lab), ha così assunto il progetto come sua tesi di laurea con lo scopo di rendere il prodotto più accessibile ed adattabile ad ogni contesto.

Il prototipo iniziale del progetto

Il design di partenza di questa “sala chirurgica portatile” era costituito da una cornice rettangolare in plastica, sulla quale era installata una tenda (costituita da materiale poroso in grado di filtrare parzialmente gli agenti esterni) sigillata al paziente all’ascella e alla vita. Il telaio così composto era completato da: un ventilatore (in grado di garantire, grazie alla sua portata, le giuste condizioni termo-igrometriche fisiologicamente ottimali per il paziente) e un filtro per l’aria a livello particellare ad alta efficienza HEPA (in grado di rimuovere quasi completamente la percentuale di contaminanti presenti).

Daniel Frey

L’idea di SurgiBox è quella di prendere la sala operatoria e ridurla fino alla dimensione del paziente. Mantenere un’intera stanza pulita e pronta per la chirurgia richiede molte risorse che molti ospedali e chirurghi in tutto il mondo non hanno.

Sally Miller ha dunque pensato che per rendere SurgiBox più versatile, portatile e conveniente doveva liberarsi del telaio, che costituiva una grossa percentuale dell’ingombro complessivo per il trasporto, senza andare a scapito della sicurezza biologica del paziente stesso. Il nuovo design di SurgiBox infatti ora consiste in una tenda gonfiabile aventi le stesse proprietà tissutali, a livello microscopico, del telo sterile utilizzato in sede ospedaliera negli interventi; in questo modo l’intero sistema può essere trasportato all’interno di una sacca o in uno zaino dai chirurghi stessi e risparmiando sulle tempistiche di installazione. La quantità di aria esterna del luogo dove avviene l’intervento, filtrata e modulata in termini di portata dal ventilatore, costituisce in maniera “naturale” la struttura del sito chirurgico, garantendo allo stesso tempo il livello di inquinanti biologici ad una soglia tale da rigettare eventuali proliferazioni batteriche potenzialmente gravi, durante l’operazione stessa.

(Design finale di Surgibox)

Come già indicato, la destinazione d’uso principale di questo sistema è rivolta alla medicina d’urgenza, e in particolare per quei paesi dove la spesa statale sanitaria è pressoché nulla e/o l’incidenza delle infezioni risulta mortale; l’obiettivo principale di Surgibox è dunque garantire in ogni luogo, le condizioni climatiche ottimali al corretto svolgimento delle operazioni chirurgiche, e requisito fondamentale è evitare l’entrata in contatto di microrganismi batterici con gli strati sottocutanei che “emergono”.

Ma quali sono i possibili rimedi ad oggi disponibili per garantire la sicurezza biologica per i pazienti in sede di operazione chirurgica?

Gestione del “rischio” in sala operatoria: l’importanza della sterilizzazione

Il grande progresso dell’ingegneria clinico-biomedica ha e sta aumentando le possibilità di assistenza, a pazienti in condizioni critiche e particolarmente esposti ad infezioni potenzialmente gravi: il sempre più vasto impiego di strumentazioni ha posto anche innegabili problemi dal punto di vista della prevenzione delle infezioni ospedaliere. Quest’ultime si caratterizzano attraverso le metodologie di trasmissione dei microrganismi patogeni: da un paziente ad un altro o da un operatore sanitario ad un paziente.

L’impiego di adeguati procedimenti di disinfezione o sterilizzazione gioca tutt’oggi un ruolo essenziale nel prevenire la trasmissione di infezioni dirette (paziente-operatore e paziente-paziente) o mediate dall’ambiente. Vediamo quali tecniche sono più usate al fine di garantire la sicurezza biologica sulle strumentazioni e nella sala operatoria stessa.

Strumentazione

Le tecniche di trattamento e di sterilizzazione sono molteplici, e classificate tenendo conto della natura dello strumento e dell’uso a cui lo stesso è destinato: è tutt’ora in vigore la classificazione che Spaulding ha proposto per primo (1972), cioè la suddivisione in base al rischio di infezione e l’uso degli strumenti, distinguendoli in tre categorie: critici, semplici e non critici, correlati dai relativi trattamenti di asepsi (asportazione degli inquinanti):

  • Critici, quelli che presentano il più alto rischio di infezione, poiché interrompono la continuità della superficie corporea andando in contatto diretto col sangue (es. bisturi, pinze, cateteri cardiaci).
  • Semicritici, quelli che vengono a contatto con le mucose, come ad esempio gli endoscopi ed i cateteri urinari.
  • Non critici, sono infine quelli che vengono semplicemente a contatto con la cute (es. il bracciale dello sfigmomanometro, gli stetoscopi, ecc.)

Gli strumenti “critici”, devono necessariamente essere sterilizzati prima dell’uso; per i “semicritici” è indispensabile invece, che siano sottoposti ad una disinfezione di alto livello, cioè ad una procedura che porti all’inattivazione di tutti i virus, funghi e batteri fino al di sotto di una certa soglia di sicurezza, ma non necessariamente tutte. Infine una disinfezione di basso o medio livello (lavaggio con acqua e sapone) è da ritenere sufficiente per gli strumenti “non critici”.

Gli strumenti sanitari possono essere sterilizzati mediante vari sistemi

Calore umido

La sterilizzazione a vapore è la più diffusa all’interno degli ospedali perché risulta meno costosa, più efficace e sicura di altre forme di trattamento. Il vapore distrugge in tempi brevi la maggior parte delle spore batteriche termoresistenti e cede rapidamente, per condensazione, grandi quantità di calore realizzate tramite autoclave che permettono di sterilizzare con successo ed in tempi brevi una grande varietà di materiali, grazie al raggiungimento ed al mantenimento delle condizioni di temperatura, umidità relativa e pressione nominali.

UV

I raggi UV nella lunghezza d’onda di 2500 Angstrom possiedono la maggiore attività microbicida; essi agiscono danneggiando il DNA; purtroppo la loro scarsa capacità penetrante ne limita l’utilizzo solo alle superfici direttamente esposte. In genere sono impiegati per la sterilizzazione dell’aria e dei piani d’appoggio in ambienti particolarmente protetti come le “camere bianche” (speciali laboratori di testing e costruzione per la microelettronica, usate anche come sale operatorie in ambito sanitario per l’alto grado di asepsi garantito).

Gas Plasma

Il gas plasma è un gas contenente una nube di elettroni, ioni, radicali liberi e atomi di molecole dissociate prodotte dall’azione di un campo elettrico e da una radiazione ionizzante (principalmente ultravioletta). A parte gli elettroni, tutto il resto delle componenti del gas d’emissione, contribuisce all’azione antimicrobica. Normalmente i generatori di gas plasma operano ad una frequenza tra 1 e 30 MHz; il gas può essere generato anche con microonde presentando una maggiore capacità penetrante ed una maggiore persistenza in aria. A differenza degli altri metodi tradizionali di sterilizzazione, il gas plasma al termine del trattamento non lascia alcuna sostanza residua sul materiale e ciò rende questa tecnica operativamente efficace per l’impiego in ospedale; sono impiegati generalmente vari gas per ottenere questo “mezzo” di sterilizzazione quali: Ossigeno, Azoto, Elio, Argon, Xeno e in genere anche il perossido d’idrogeno (H2O2 anche detta “acqua ossigenata”). Le particelle liquide di quest’ultimo, in sospensione nel gas plasma possono sopportare temperature molto elevate ma si raffreddano rapidamente al contatto con il materiale da sterilizzare, andando a disinfettare in maniera diretta la superficie dello strumento.

(Modello di autoclave)
(Generatore di Gas Plasma)

Per le sale operatorie la qualità dell’aria rappresenta il requisito igienico-ambientale prioritario. I possibili rischi a cui sono esposti gli occupanti di una sala operatoria (pazienti e chirurghi), possono essere distinti in:

  • Rischio fisico: rappresentato dall’alterazione del benessere in termini termico-fisiologici, derivante da un livello inadeguato dei parametri microclimatici;
  • Rischio chimico: dato dall’alterazione dei meccanismi metabolici derivante dalla contaminazione ambientale a causa di sostanze tossiche, nocive e/o cancerogene;
  • Rischio microbico: alterazione dei meccanismi cellulari ed immunitari derivanti dalla contaminazione con dei microrganismi batterici;

Le cause responsabili di un’eventuale cattiva qualità dell’aria nelle sale operatorie sono perlopiù rappresentate da: inefficienza di ventilazione, non-filtrazione dell’aria immessa e scorretta manutenzione degli impianti stessi. Queste generano un’alterazione delle proprietà termo-chimiche dell’ambiente, come inquinamento da gas e vapori tossico-nocivi e contaminazione particellare e microbica. La contaminazione all’interno del blocco operatorio è intrinsecamente imputabile a microrganismi dispersi in aria, la cui fonte d’importazione primaria è rappresentata proprio dal personale: equipe operatoria e pazienti.

Altre fonti secondarie sono rappresentate dalla difettosa immissione d’aria dall’impianto di VCCC (ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata) o dalla contaminazione dello strumentario introdotto. L’impianto di ventilazione assume grande importanza ai fini del microclima in termini di condizioni termo-igrometriche (temperatura e umidità relativa) e della depurazione dell’aria dagli inquinanti, tramite uno o più ventilatori, inseriti in un sistema di condizione e trattamento dell’aria. Il compito fondamentale di quest’ultimi e delle strutture tecnologiche di sterilizzazione ambientale, rimane quindi quello di assicurare il controllo della concentrazione dei contaminanti, che avviene sotto una precisa direttiva di linee guida; i princìpi base sono:

  • La presenza intorno al paziente d’aria sterile con una distribuzione uniforme, in grado di ventilare tutta la sala evitando la formazione di zone di ristagno d’inquinanti chimici e microbici date da correnti che stazionarizzano, creando zone a bassa ed alta pressione che consentono la migrazione batterica;
  •  Un’adeguata velocità dell’aria (minimo 0,25 m/s) in prossimità di”zone sensibili” (tavolo chirurgico) al fine di assicurare l’asportazione dei batteri presenti, senza creare condizioni di “disagio termico a chirurghi e pazienti stessi;

Mediante l’immissione di aria esterna occorre inoltre garantire il confinamento dinamico del locale, ovvero instaurare una pressione maggiore nella sala operatoria rispetto ai locali adiacenti cosicché i microrganismi che possono crearsi nell’ambiente operatorio, si organizzino in “colonie” (si parla infatti di controllo delle UFC: Unità Formanti Colonia) che possano preventivamente essere rimosse mediante filtrazione e flussi laminari generati da organi impiantistici o apparecchiature mobili.

Surgicube e Surgibox: un obiettivo comune raggiunto su strade diverse

Surgibox, come abbiamo già accennato, riesce a garantire all’utenza (chirurghi e personale sanitario) in pochi metri quadrati e senza alcuna limitazione sul luogo d’applicazione, un ambiente operatorio e un grado di sicurezza al pari di una sala chirurgica ospedaliera, laddove questa venga a mancare. La semplicità di questa struttura deriva dall’impiego di un componente fondamentale per la garanzia della sterilizzazione completa (assieme al ventilatore) non ingombrante: un filtro HEPA (o ULPA).

La filtrazione è un’operazione necessaria in funzione dell’impossibilità, attraverso il solo movimento e ricambio di aria, di ottenere l’eliminazione dell’inquinamento da particelle e microrganismi; i filtri più utilizzati sono appunto HEPA/ULPA la cui destinazione di indirizzo principale è la depurazione dell’aria nell’industria ospedaliera (Isolatori, impianti di condizionamento di sale operatorie).

(Modello di HEPA)

Però mentre per la gestione degli impianti di ventilazione risulta fondamentale la presenza di un sistema elettronico di monitoraggio della qualità dell’aria, Surgibox attraverso solamente il lavoro del ventilatore e la grande capacità di assorbanza del filtro riesce a garantire un corretto controllo degli inquinanti: la semplicità di questo sistema è il motivo del suo ampio campo di applicabilità in ogni tipo di condizione ambientale. Nel progetto finale di Sally Miller, il filtro utilizzato per “intrappolare” la grande quantità di particolato presente nei luoghi di applicazione di Surgibox è stato appunto un HEPA (High-Efficiency Particulate Air), che offre una garanzia di alta efficacia contro le particelle inquinanti più sottili disperse nell’aria; è industrialmente progettato per filtrare il 99,97% delle particelle con un diametro di 0,3 micron. Gli standard di esercizio di questi filtri, prevedono una caduta di pressione minima e un flusso d’aria massimo durante il funzionamento: sono quindi risultati una soluzione ottimale con l’impiego di un ventilatore (opportunamente dimensionato) nel progetto.

Nel dettaglio l’HEPA si presenta suddiviso in due stadi: un filtro semplice, costituito da un setaccio per il particolato più voluminoso per evitare che danneggi il secondo stadio, più delicato, costituito da un filtro antiparticolato, che può avere diverse geometrie, composto da sottilissima fibra di vetro e responsabile dell’assorbimento delle particelle più piccole. Quest’ultima operazione avviene in tal modo: le particelle aspirate ad alta velocità, di dimensioni maggiori, impattano sul filtro e lì rimangono incastrate (impatto inerziale); quelle di dimensioni più ridotte che non impattano sul filtro, proseguono e si muovono al suo interno a velocità ridotta, fluttuando nei meandri di fibra di vetro fino ad essere catturate elettrostaticamente da esse (intercettamento). La quantità parziale di particelle non catturate dalle fibre continua a fluttuare, e man mano che il loro movimento rallenta, le collisioni dell’una con l’altra creano “grumi” che si incagliano più facilmente (diffusione). In questo modo si garantisce la completa sicurezza delle operazioni.

Prima della creazione di Surgibox, era già presente un sul mercato un suo “precursore” detto Surgicube, avente la stessa pretesa di poter rendere uno spazio ristretto (che non fosse strettamente quello ospedaliero) adattabile a sala chirurgica, per i casi di medicina d’urgenza e interventi di microchirurgia laddove non ci fossero state le strutture adatte. La creazione di questo sistema però è rimasta più ancorata ad una sua applicazione in ambito strettamente clinico rispetto a Surgibox: viene tutt’ora usata come valida alternativa alla sala operatoria, nel caso di aree dismesse all’interno di ospedali pubblici o in cliniche di dimensione ridotte, dove i locali adibiti alle operazioni risultano ristretti. Tanto per dare un’idea delle dimensioni occupate da questa unità il modello più stretto misura 1,8 metri di larghezza, con un’area di lavoro di 1 metro, mentre quello più largo 3,8 metri di larghezza, con un’area di lavoro sterile di 2,2 metri di larghezza; quest’ultimo è stato creato al fine di far svolgere tirocini pratici a giovani chirurghi. Contrariamente al funzionamento “elementare” che caratterizza l’impiego di Surgibox, Surgicube si avvale dell’uso di una particolare tecnologia di ventilazione (che può essere integrata all’unità stessa) detta Toul a flusso laminare:

Questa viene impiegata in maniera integrata e non sul letto operatorio, e in forma di unità mobile sul tavolo degli strumenti; produce in maniera continuativa aria sterile con una velocità di 0,4 m/s, la quale è in grado di allontanare particelle e microrganismi aereodispersi nelle zone di criticità, riducendo fino al 95 % la carica batterica sul sito chirurgico e sul tavolo porta ferri. Dunque è generatore di flusso d’aria laminare che si posiziona nello spazio circostante al luogo dell’operazione in modo tale da aspirare l’aria intorno al letto operatorio, filtrarla (tramite un sistema di filtri HEPA) da batteri e dai microorganismi e reindirizzarla con un flusso laminare sul letto operatorio stesso, rendendolo immune dal rischio di contaminazione batterica.

(Esempio di Toul a flusso laminare mobile per strumentazione)

Semplicità ed efficacia: in conclusione

Studi svedesi e italiani hanno confermato che la contaminazione batterica nei punti critici della sala operatoria si abbassa significativamente con l’uso del Toul; ciò comporta una drastica riduzione del numero delle infezioni in sala operatoria dopo gli interventi anche di microchirurgia. Surgicube integrandolo nella sua unità, ha così creato un sistema efficiente come una sala operatoria progettata civilmente, e dai costi di installazione drasticamente ridotti.

Surgibox (e Surgicube) rimangono così un’alternativa efficiente alla chirurgia ospedaliera ed accessibile a tutti. Quindi il vero obiettivo, l’unica vera e importante linea guida della nostra professione di ingegneri biomedici è e rimane questa, sempre: garantire o almeno cercare di migliorare, le condizioni di vita e di tutti.

La domanda più insistente e urgente della vita è: “Cosa stai facendo per gli altri?

(Martin Luther King)

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Informazioni autore

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Lorenzo Morelli

Laureato in Ingegneria Clinica presso l'università "La Sapienza" di Roma e specializzato nell'ambito dell'Health Technology Management dei dispositivi medici. Ambiti di interesse: dispositivi diagnostici e tecnologie chirurgiche innovative.

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