Sei stanco dei soliti cerotti e pomate per curare le ferite sulla pelle? Ne hai abbastanza di garze, creme appiccicose o fasciature visibili? Immagina che sia possibile usare un bendaggio intelligente capace di utilizzare l’energia solare per stimolare elettricamente la pelle, migliorandone la guarigione.
Sembra un film di fantascienza, vero? E invece no. Un team di ricercatori italiani sta proprio lavorando a questo progetto, presso l’Istituto Italiano di Tecnologia a Napoli.
Nell’immaginario comune pensiamo che gli scienziati siano rinchiusi nel loro laboratorio con i capelli dritti in testa e che escano solo quando tutti gli altri, comuni mortali, dormono. Ovviamente, non è così. Parliamo invece di giovani capaci e tenaci, giovani con il potenziale per cambiare il mondo e migliorarlo. Sono testardi e ricchi di entusiasmo e, giorno dopo giorno, si impegnano a migliorare la vita dell’uomo.
Immagina di avere una grossa ferita sulla pelle ed utilizzare un cerotto fotovoltaico per riparare le ferite. Niente più garze o fasciature, pomate e creme. In maniera facile ed efficace il bendaggio intelligente, alimentato dalla luce solare, può riuscire a curare le ferite. Non ci credi? Questa è la sfida della napoletana Francesca Santoro, ricercatrice d’eccellenza dell’Istituto Italiano di Tecnologia. La sfida consiste nell’indurre la proliferazione cellulare mediante il solo utilizzo di un chip con dei piloncini. L’idea di base è quella di stimolare elettricamente le cellule della pelle: il materiale cellulare aderisce completamente ai piloncini del chip aggrappandosi proprio come se fossero delle boe di salvataggio ma sarà compito del campo elettromagnetico applicato sui piloncini quello di gestire l’entrata degli ioni calcio esterni alla cellula, principali responsabili della proliferazione delle cellule epiteliali. Ma come è possibile tutto questo? Grazie a delle plastiche capaci di condurre gli impulsi che saranno inviati prelevando l’energia per funzionare proprio dalla luce del sole. Sarà come avere un vero e proprio impianto fotovoltaico sulla propria pelle.
Non sei ancora convinto della grandiosità di quest’innovazione? Bene, abbiamo intervistato Francesca Santoro, leader del team impegnato nel progetto. Insieme a lei capiremo meglio come la plastica possa condurre, immagineremo con lei il futuro design del dispositivo e chiariremo alcuni aspetti riguardo alla sicurezza di tale impianto.
Quando parliamo di plastica pensiamo ad un materiale isolante. La cosa interessante è che possiamo mettere qualcosa di conduttivo nelle plastiche, e modificarne le proprietà. In questo modo si mantiene la matrice plastica, quindi è possibile sfruttarne la flessibilità, la versatilità ed avere costi contenuti e, inserendo poi delle particelle metalliche, avere comunque effetti conduttivi. La plastica conduttiva è una plastica intelligente perché la possiamo modellare come vogliamo. Infatti nel progetto, piuttosto che tenerla piatta, costruiamo dei piloncini a cui la cellula aderirà quasi come se fosse abbracciata ad essi. Facciamo credere alle cellule di essere nel tessuto nativo ed invece si trovano in un chip, un impianto, un elettrodo.
Quello che immaginiamo in questo momento è di creare un sistema modulare: per cui si potrà andare in farmacia, acquistare il kit del cerotto fotovoltaico e assemblarlo. Tuttavia siamo ancora un po’ lontani dal prodotto finito, ci sono ancora diversi aspetti da tenere in conto come il numero di ripetizioni o i cicli del trattamento.
Quando parliamo di pannelli fotovoltaici, pensiamo al piombo: ecco, per il nostro progetto di certo non pensiamo di impiantare tale metallo! Noi utilizziamo materiali biocompatibili, già approvati.
La formazione di base che ci fornisce l’Italia è imbattibile. All’estero sono più incentrati sull’esperienza in laboratorio che sulla teoria. Noi abbiamo una marcia in più poiché abbiamo una forma mentis che all’estero non hanno. In Italia siamo abituati a studiare tanto, a sviscerare i problemi: questo ci porta ad avere un pensiero critico che è fondamentale nella ricerca. Dovrebbero però esserci un numero maggiore di corsi pratici.
No, assolutamente. In tutte le facoltà c’è un clima molto particolare, gli studenti subiscono molta pressione, e non ci si rende conto che ci sono persone facilmente influenzabili. Spesso un gesto o una parola da parte dei colleghi o professori può davvero cambiare i piani di una persona.
Io direi che non conta il tempo e nemmeno il voto di laurea: bisogna costruirsi un percorso interessante ed una storia. Creati delle opportunità. Inoltre l’entusiasmo è fondamentale: mi interessa sapere cosa vogliono fare i miei studenti e l’entusiasmo che ci mettono. L’obiettivo di “dover passare l’esame” è sbagliato e fa perdere di vista la finalità di formarci come studenti e come persone.
Nonostante le critiche alle innovazioni e lo scetticismo per i dispositivi impiantabili, l’integrazione dei dispositivi elettronici nel nostro corpo e nella nostra vita è stato un passo enorme per l’uomo e per questo ci sentiamo di ringraziare tutti gli ingegneri e gli scienziati come Francesca Santoro che ogni giorno, con impegno e dedizione, si dedicano allo sviluppo di ricerche che possono davvero aiutare a migliorare la nostra vita.
Fonti:
- TedxTorino