La medicina rigenerativa è una strategia di frontiera che mira a sostituire i tessuti o gli organi umani danneggiati da patologie, problemi congeniti o traumi – attraverso lo sviluppo di impianti sia funzionali che efficienti per pazienti umani. Ma quanto è difficile sviluppare e commercializzare soluzioni di questo tipo per l’ambito clinico? E qual è la situazione della ricerca in Italia?
A queste e ad altre domande risponde il dott. Gianluca Cidonio, attualmente alla guida del “3D Microfluidic Biofabrication Lab” presso l’Istituto Italiano di Tecnologia di Roma (Center for Life Nano & Neuro Science). Il suo è un laboratorio multidisciplinare, che conta studenti di ingegneria biomedica, chimica e biologia. Il gruppo di ricerca punta, infatti, a stampare in 3D impianti per la rigenerazione dei tessuti o modelli per lo studio di malattie, sfruttando una nuova tecnologia microfluidica per la biostampa 3D di cellule e biomateriali.
Ho terminato i miei studi di Ingegneria Biomedica nel 2013 (Magistrale), dopo quattro anni in Italia e uno all’estero.
Nel 2012 ho vinto una borsa di studio per visitare la Temple University di Philadelphia (USA), dove ho studiato ingegneria biomedica applicata alla biologia e lavorato in un laboratorio dove ho contribuito alla sintesi di peptidi che possono penetrare nelle cellule per rilasciare farmaci o composti per la rigenerazione di tessuto nervoso danneggiato. Nel laboratorio del Prof. Won Suh, ho quindi fatto i primi passi nella ricerca, imparando a coltivare cellule umane e sintetizzare peptidi, caratterizzandoli e studiandone l’effetto biologico.
Nel 2015 ho iniziato il dottorato a Southampton (Regno Unito) sotto la guida del Prof. Richard Oreffo, lavorando su nuovi biomateriali e tecniche di stampa 3D per la rigenerazione dei tessuti muscoloscheletrici. Successivamente, ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di completare la ricerca sull’effettiva rigenerazione indotta dall’impianto dei costrutti stampati in 3D. Alla fine del 2019, sono approdato all’Istituto Italiano di Tecnologia. Ad oggi, nel nostro laboratorio ci occupiamo di fabbricare tessuti umani biostampati usando cellule e biomateriali sia per rigenerare organi danneggiati, ma anche per riprodurre modelli di malattie che possano essere usati per testare nuovi farmaci. Lavoriamo con una tecnologia che auspicabilmente assiste la transizione clinica verso una medicina personalizzata, fatta ad-hoc per il paziente.
L’ingegnere è spesso visto come una figura puramente dedicata all’industria, che siede in azienda con un caschetto in testa e che, la maggior parte delle volte, guadagna bene. Per l’ingegnere biomedico può essere questa la strada. Tuttavia, nel mondo esiste anche un’altra opportunità, che nasce dalla necessità di avere una figura nel mezzo tra la fisica, la chimica, la biologia e l’ingegneria, che sappia aiutare a capire e ad ingegnerizzare processi biologici complessi.
La richiesta di ingegneri biomedici capaci di lavorare in laboratorio è sempre crescente. Stiamo capendo che l’ingegneria biomedica applicata allo studio della rigenerazione dei tessuti e modellizzazione di malattie (i.e., ingegneria tessutale) è un campo in continua espansione, che sta segnando le basi per un futuro migliore – almeno per quanto riguarda il trattamento di malattie per ora incurabili.
La passione e il desiderio di fare ricerca sono il primo passo per trovare il coraggio di approcciare professori o ricercatori del campo e chiedere consiglio, opportunità nel loro lab, un supporto nel provare a vedere se la ricerca in ambito biomedico possa essere di interesse. Non esiste un unico percorso. Conosco la situazione in varie università italiane dove sono al passo coi tempi, e capaci di adattare i loro corsi di laurea in Ingegneria Biomedica, offrendo sempre più canali e indirizzi, adeguandosi al cambiamento. Al contrario, esistono però anche università sul territorio che sono ancora ferme ad insegnamenti degli anni ’90, incapaci di offrire una visione reale delle disponibilità, scienze ed insegnamenti attualmente applicabili all’Ingegneria Biomedica.
Per me è stato fondamentale il periodo di un anno che ho passato all’estero durante la magistrale in Ingegneria Biomedica alla Sapienza di Roma. Se non fossi stato negli Stati Uniti e non avessi seguito il corso del Prof. Lelkes, che mi ha mostrato come si possono portare cardiomiociti (cellule del cuore) nello spazio per guidarne la disposizione in tre dimensioni e far maturare un tessuto cardiaco perfettamente funzionante, il mio interesse per l’ingegneria tissutale non sarebbe mai sbocciato. In aiuto, l’esperienza nel laboratorio del Prof. Suh, si è rivelata cruciale per poter capire se fossi tagliato per l’attività di laboratorio o meno. Questo mi ha dato la possibilità di sviluppare capacità in laboratorio che i miei compagni di corso in Italia non avevano appreso.
Fermo in Italia, con corsi che all’epoca non trattavano ancora di questi temi (siamo nel 2012) e con impossibilità di contribuire in laboratori di ingegneria tessutale, ho trovato poi l’opportunità di studio e ricerca a Philadelphia illuminante e fondamentale per la mia carriera. Tornato dall’America, ho pensato che volessi diventare un ricercatore in questo campo.
Oggi, secondo me, la situazione in Italia è migliorata. Sono nati diversi laboratori, numerose opportunità in più che possono aiutare giovani studenti di ingegneria biomedica (e non solo!) nel mondo della ricerca e nel campo dell’ingegneria tissutale.
Il gap ad oggi è immenso. Sembra quasi impossibile che quello che facciamo in laboratorio possa un giorno raggiungere il paziente.
Questo pensiero radicale sta però cambiando. Sempre di più stiamo sentendo notizie – a volte anche un po’ esagerate – di pazienti che ricevono impianti funzionali con cellule staminali o biomateriali. Il caso di una ragazza a New York che ha per la prima volta al mondo subito un intervento di ricostruzione del padiglione auricolare operato esclusivamente con tecniche di stampa 3D e cellule della paziente stessa, ne è la prova.
Stiamo raggiungendo la clinica, anche se lentamente. Il lavoro è ancora lungo, ma con costanza e importanti aiuti economici da parte di istituti e aziende interessate alla traslazione clinica, nonché il supporto di organi come la Food and Drug Administration (FDA) americana o European Medical Agency (EMA), si può sicuramente fare la differenza.
Cercate un laboratorio; chiedete, informatevi – il tutto, il prima possibile. Tendenzialmente, in Italia la ricerca si inizia tardi.
Ci sono Paesi (come Regno Unito e Stati Uniti d’America) dove gli studenti universitari iniziano fin dal primo anno ad integrare lavoro in laboratorio con lo studio per esami. In Italia, lo studio sul libro è cardine, ma l’inclusione dell’attività di laboratorio è secondaria e molto (troppo) spesso, inesistente. Richiedete una tesi in un laboratorio e passateci del tempo col desiderio di imparare, affamati di sapere sempre di più su quale sarà il prossimo esperimento e come poter generare le risposte alle domande che vi siete posti in quel particolare progetto.
Gli esami sono fondamentali, si impara tantissimo sui libri, ma se la ricerca è la vostra strada, l’esame o il bel voto non aiuteranno mai tanto quanto la pratica e quanto l’insegnamento dato da ricercatori/ricercatrici con anni di esperienza sulle spalle.
Quindi, il mio consiglio spassionato è quello di essere desiderosi di fare ricerca, di appassionarvi a qualcosa, di incontrare qualcuno che vi meravigli con quello che si fa in laboratorio.
Grazie Gianluca, a presto!
Fonti e approfondimenti
- IIT Gianluca Cidonio
- IIT Nanotechnologies for Neurosciences
- University of Southampton – Dr Gianluca Cidonio receives Italy Made Me award
- APS Cell Physiology – Bioprinting stem cells: building physiological tissues one cell at a time
- IOPScience – Development of a clay based bioink for 3D cell printing for skeletal application
- IOPScience – Osteogenic and angiogenic tissue formation in high fidelity nanocomposite Laponite-gelatin bioinks
- IOPScience – Nanoclay-based 3D printed scaffolds promote vascular ingrowth ex vivo and generate bone mineral tissue in vitro and in vivo