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Tessuti e Organi Artificiali

Organoidi: l’anello mancante tra ingegneria tissutale e medicina rigenerativa

Come funziona una cellula, perché si ammala, quale farmaco rappresenta la cura per “quella” specifica patologia? Il termine “organoide” significa “che somiglia a un organo” e si riferisce a una struttura tridimensionale che, in particolari condizioni, gli scienziati riescono a far crescere e auto-organizzare in laboratorio, a partire da frammenti di tessuto prelevati dall’organismo e contenenti cellule staminali. Gli organoidi sono una nuova frontiera della scienza, che potrebbe rappresentare una valida strada verso la generazione di organi per trapianti e sostituire gli animali da laboratorio. È anche agli organoidi che si affida la medicina di precisione, per individuare terapie specifiche per molte malattie, incluso il cancro.

La loro nascita può essere fatta risalire ai primi del ‘900, quando alcuni esperimenti dimostrarono che le cellule delle spugne, organismi multicellulari molto semplici, possiedono la capacità di auto-organizzarsi anche se ‘rimescolate’, per formare l’organismo completo.

Un nuovo progetto italiano: HoMoLog

Nata da una collaborazione tra i ricercatori Silvia Di Angelantonio e Alessandro Rosa, rispettivamente de La Sapienza e Center for Life Nano Science dell’Istituto Italiano di Tecnologia (CLNS – IIT Roma), HoMoLog è una startup italiana che mira alla realizzazione di un nuovo metodo per studiare e testare nuovi farmaci nel trattamento di patologie specifiche. Infatti, sfruttando una delle tecniche più promettenti ed utilizzate nel campo della bio-fabbricazione, ovvero il 3D-bioprinting (i.e., stampa 3D applicata alla medicina), il progetto HoMoLog si pone come scopo la produzione di mini-organi, vale a dire veri e propri modellini miniaturizzati a partire direttamente da cellule staminali riprogrammate (iPSC, cellule staminali pluripotenti indotte) dei pazienti.

Memex: Galileo – Silvia Di Angelantonio. Da “Homolog: staminali e stampa 3D”. Credits: Rai Scuola

Tali cellule vengono poi inserite in una matrice organica specifica, stampata in 3D, allo scopo di offrire una base di sostegno per le cellule sia a livello fisico che a livello trofico, atta a garantire la sopravvivenza del costrutto cellulare tridimensionale neo-formato (il cosiddetto “organoide”).

Pertanto, i ricercatori auspicano che tali organoidi diventano presto un anello utile nella catena di sviluppo di terapie mirate a molte delle patologie croniche o autoimmuni esistenti e, prime fra tutte, il cancro.

Una terapia personalizzata per il cancro

Il progetto PreCanMed ha riunito centri di eccellenza per la ricerca sul cancro sia in Italia (Friuli Venezia Giulia) sia in Austria (Tirolo), al fine di creare una piattaforma di precisione per il trattamento anticancro. I partner di PreCanMed hanno analizzato la tecnologia degli organoidi tumorali, modelli di coltura cellulare 3D generati da tessuti del paziente, che possono essere coltivati in laboratorio in modo da replicare con precisione le caratteristiche del tumore originale e infine sperimentare l’efficacia terapeutica dei diversi trattamenti.

Tra i numerosi vantaggi, tali modelli 3D possono essere generati e propagati in modo efficiente, e infine essere crioconservati in azoto liquido. Inoltre è possibile ricapitolare tutti gli step più importanti del processo di organogenesi. A tal proposito, sempre in laboratorio, un organoide di tessuto intestinale adulto può essere indotto a diventare tessuto di stomaco a causa della mancanza di un solo fattore di regolazione (Cdx2).

Gli organoidi diventano, pertanto, una sorta di trampolino di lancio verso le cure personalizzate, per capire che cosa accade a un organo quando viene aggredito da una malattia come il cancro.

Tecniche di ingegneria tissutale a confronto

Nel tentativo di ricreare organiin provetta”, anche l’ingegneria biomedica fornisce il suo contributo attraverso tecniche di ultima generazione come il “3D-bioprinting” oppure con i cosiddetti “organ-on-a-chip” (OOC). Tuttavia, entrambe le tecnologie presentano dei limiti.

3D-Bioprinting

Il processo di stampa 3D inizia con la definizione di un modello digitale ottenuto da immagini TAC e RMN del paziente e, tramite l’elaborazione automatica delle immagini CAD (Computer-Aided Design), si ottiene quindi un modello 3D da realizzare.

I due componenti fondamentali di questo processo, ai fine della realizzazione di organi 3D, sono i seguenti:

  • Stampante 3D (i.e., bioprinter): dispositivo per l’erogazione del bioinchiostro (che può avvenire per estrusione, a getto, o tramite laser). Nel caso di una tecnica a “getto d’inchiostro” si assiste all’emissione di goccioline di bioinchiostro attraverso l’ugello, tramite una pressione impulsiva solamente dove e quando il computer dice di stampare, in modo da ricreare il modello voluto;
  • Bioinchiostro (i.e., bioink): singole cellule staminali o aggregati cellulari di dimensioni variabili (dal nanolitro al picolitro), incapsulate in una matrice organica, che vengono stampati “strato dopo strato” in modo alternato con la base del bioinchiostro depositato anch’esso strato dopo strato, con cui poi si fonderà a formare il costrutto finale desiderato.

Una corretta vascolarizzazione e un’efficiente angiogenesi sono necessarie per l’apporto di nutrienti e ossigeno nei tumori, ma sono difficili da riprodurre in vitro sia negli sferoidi (primo modello grezzo 3D) che negli organoidi (modello 3D definitivo). La soluzione proviene da tecniche come la microfluidica, con la quale è possibile controllare la dimensione e la forma dei nuovi costrutti cellulari.

Organ-on-a-chip

Recentemente, un altro studio di rilevante importanza (e dalle origini italiane) che ha preso forma in ambito oncologico è quello di Valeria Lucarini. Tale progetto vede l’integrazione della tecnologia “organo-su-chip” (OOC). La ricercatrice dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, grazie ad una borsa di studio della Fondazione Umberto Veronesi, dedica il suo impegno a una delle patologie più aggressive e a prevalenza pediatrica, il neuroblastoma – una forma tumorale che origina da cellule del sistema nervoso periferico, con compromissione delle più importanti funzioni vitali per il paziente.

In breve, questo progetto vuole valutare le potenzialità dei due approcci combinati nella cura del neuroblastoma, vale a dire la chemioterapia classica e l’immunoterapia. Sebbene si siano dimostrate efficaci, presentano ancora dei limiti. Questi possono essere superati con la tecnologia “organo-su-chip”, che consente di monitorare in tempo reale il movimento e le interazioni delle componenti cellulari presenti nel micro-ambiente tumorale, come neuroni e cellule del sistema immunitario.

Valeria Lucarini

Questi sistemi multicellulari tridimensionali basati su piattaforme microfluidiche sono quindi anche noti come dispositivi “Organ-On-a-Chip”. I modelli OOC si sono dimostrati molto promettenti, in quanto inducono la perfusione dei nutrienti e prevengono la necrosi cellulare del costrutto. Infatti, con tale tecnologia, grazie anche alla continua infusione di fattori di crescita si può ottenere una replica precisa delle caratteristiche della matrice extracellulare, nonché dei contatti cellula-cellula e l’induzione di segnali biochimici e meccanici. Ciononostante, per superare le difficoltà del costante monitoraggio dell’ambiente di sviluppo degli organoidi, negli OOC si incorporarono spesso dei microsensori biochimici, ottici e fisici, al fine di misurare parametri ambientali come pH, temperatura e livelli di ossigenazione.  

In Italia abbiamo vari centri di ricerca molto attivi su questo fronte, e ad oggi diverse aziende in Europa, Stati Uniti e Asia stanno sviluppando organi su chip, inclusa dal 2017 una startup spin-off del Politecnico di Milano, ovvero BiomimX: integrando la coltura cellulare cardiaca 3D e la stimolazione meccanica, BiomimX® propone la prossima generazione di organi che battono, proprio su chip.

La piattaforma uBeat® supporta la cultura di tre modelli di microtessuti 3D indipendenti all’interno di un singolo dispositivo. La piattaforma è in grado di fornire una stimolazione meccanica controllata ai microtessuti, tramite altri prodotti della stessa tecnologia come uBeat® Stretch e uBeat® Compress. Un esempio è uHeart, un modello miniaturizzato di un cuore umano funzionale e pulsante su un chip sviluppato all’interno di uBeat® Stretch, ottenendo così la generazione di un tessuto cardiaco umano maturo che batte spontaneamente e in modo sincrono.

Sperimentazioni future

Prendendo spunto dagli avvenimenti dell’ultimo anno, la SARS-CoV-2 è stata ritrovata, oltre che nei polmoni e nella laringe, anche in altri organi. Ciò che i ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di comprendere è l’eventualità che i danni osservati siano causati direttamente dal virus o se siano, invece, dovuti a complicazioni dell’infezione.

Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni, sarà più probabile che sia un virus altamente contagioso.

Bill Gates

Recentemente, alla Weill Cornell Medicine di New York City, il Professor Shuibing Chen ha messo a punto un mini-modello di polmone usando cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), nel tentativo di studiare l’effetto di diversi tipi di farmaci sulle cellule colpite dal virus: potrà l’ingegneria biomedica aiutare gli scienziati nel capire i meccanismi d’azione del virus tramite la tecnologia degli organoidi, colmando il divario tra sperimentazione clinica e preclinica?


Fonti e approfondimenti:
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Informazioni autore

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Noemi Maria Giorgiano

È laureata in Medicina e Chirurgia all'Università de La Sapienza (Latina) ed è impegnata nella organizzazione di Iniziative Culturali per tutti gli studenti. È appassionata alla ricerca sperimentale applicata nel campo della Chirurgia nonchè alla corretta divulgazione delle argomentazioni scientifiche.

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