La vita è da sempre considerata un enigma intricato, affascinante ma impenetrabile. Oggi, lo sviluppo della prima cellula sintetica in grado di rispondere a stimoli chimici – imitando la flessibilità naturale e modificando la sua forma – ci avvicina a una maggiore comprensione di questo mistero, rivoluzionando il futuro della biologia e della medicina. Dallo studio delle funzioni cellulari, alla somministrazione dei farmaci, dai biosensori ai bioreattori, questo nuovo strumento ha enormi potenzialità da scoprire e sfruttare.
La biologia sintetica: dalle origini ai nuovi traguardi
La storia della biologia sintetica ha inizio nel 2010, quando Craig Venter e i suoi collaboratori riuscirono a ricreare in laboratorio la prima forma di vita, replicando il genoma di un batterio per poi trasferirlo all’interno di una cellula – precedentemente privata del suo DNA. Con soli 473 geni, tale cellula poteva svolgere tutte le funzioni indispensabili alla vita. Tuttavia, non era in grado di sopravvivere alla replicazione. Si ottenevano infatti cellule figlie dalle forme e dimensioni irregolari. Un ulteriore passo in avanti è stato fatto nel 2016, con l’aggiunta di ulteriori 7 geni, ottenendo un batterio in grado di replicarsi. In questo modo, si apriva anche la strada alla possibilità di produrre farmaci e vaccini da colonie di cellule sintetiche.
Un gruppo di ricerca della Johns Hopkins University, guidato dalla ricercatrice Shiva Razavi, ha sviluppato una cellula sintetica in grado di rispondere ai segnali chimici provenienti dall’ambiente. Tale modello manifesta infatti la rottura della simmetria. Si tratta di un fenomeno che avviene in risposta a stimoli esterni e che consiste nella riorganizzazione interna di un’unità vivente da una conformazione simmetrica ad una asimmetrica.
Rottura della simmetria: il ruolo chiave della proteina contrattile di actina
La rottura della simmetria è alla base di molti processi biologici – come la chemotassi, la divisione cellulare, la fagocitosi e la fusione cellulare – e avviene a seguito di forze indotte dalla polimerizzazione dell’actina. L’actina è una proteina globulare che si trova nel citoplasma cellulare in forma monomerica nota come G-actina; i monomeri possono quindi legarsi in maniera reversibile (con ioni magnesio e ATP) e formare filamenti sottili di F-actina, in grado di contrarsi. La riorganizzazione del citoscheletro di actina, alla base di tutti questi processi, porta ad una modifica della morfologia della cellula che ne controlla il differenziamento e lo sviluppo.
La comprensione di questo fenomeno permetterà di scoprire i segreti fondamentali della biologia e sfruttare queste informazioni per ideare nuove terapie mediche.
Shiva Razavi, Coordinatrice dello studio
La nuova cellula sintetica risponde agli stimoli chimici
La cellula ingegnerizzata sviluppata nei laboratori della Johns Hopkins consiste in una vescicola con un doppio strato di membrana – fatta di fosfolipidi, sali, proteine purificate e ATP per fornire energia. Avendo una forma perfettamente sferica, è stata rinominata “la bolla”. Essa risponde agli stimoli chimici attraverso il fenomeno di dimerizzazione indotta chimicamente, ovvero la tendenza di due proteine a legarsi in presenza di agenti specifici.
Per indurre la dimerizzazione, i ricercatori hanno inserito nella protocellula due proteine: FKBP e FRB – quest’ultima a sua volta associata alla proteina ActA, che promuove la nucleazione dell’actina. Rilasciando nell’ambiente extracellulare rapamicina, che è un farmaco immunosoppressore, le due proteine si legano. Questo legame a sua volta induce la polimerizzazione dell’actina. Infatti, la proteina ActA (associata alla proteina FRB), spostandosi verso la membrana, attiva il complesso Arp2/3, un componente importante del citoscheletro di actina. Si formano quindi i filamenti sottili di F-actina che esercitano forze sulla membrana, per cui la cellula inizia a contrarsi. Il fenomeno, illustrato in Figura 1, avviene in pochi minuti, proprio come nelle cellule naturali.
Un’ulteriore conferma del risultato è stata ottenuta somministrando Latrunculin A, una tossina che ostacola l’assemblaggio dei monomeri di actina. In questo caso i filamenti non crescevano e quelli già formatisi diminuivano nel corso del tempo. Pertanto, l’aumento della concentrazione di actina nella protocellula è dovuto proprio al fenomeno naturale di polimerizzazione e non ad un semplice accumulo di monomeri senza funzionalità.
Valutazione della risposta cellulare allo stimolo
I ricercatori si sono serviti di un chimografo – un dispositivo che fornisce una rappresentazione grafica della posizione nel tempo – per valutare la distribuzione spaziale dell’actina e la curvatura cellulare a seguito della somministrazione della rapamicina. I risultati evidenziano che la proteina è distribuita uniformemente nella cellula sintetica per i 5 minuti successivi la somministrazione, oltre i quali appaiono i primi siti di nucleazione a livello della membrana e si formano i filamenti contrattili. Inoltre, le immagini confocali mostrano che le forze generate da questi filamenti sono sufficienti a produrre la modifica della forma cellulare (Figura 2).
La risposta cellulare segue il gradiente di rapamicina
Un’ulteriore analisi condotta consiste nell’indurre un gradiente di rapamicina, attraverso il suo rilascio in soluzione con etanolo tramite un microiniettore in punti precisi sulla lunghezza della vescicola. È stato verificato che in questo modo è possibile controllare la distribuzione dell’actina; infatti, la proteina si sposta inizialmente verso regione della membrana a maggior concentrazione di rapamicina, dando origine ad un sito di nucleazione da cui poi si formano i filamenti che determinano la contrazione. Essi poi coinvolgono l’intera cellula entro 15 minuti dalla somministrazione (Figura 3). Tale indice è utile in quelle applicazioni dove si vogliono ottenere risposte cellulari localmente, come nel caso della somministrazione di farmaci.
Altri fattori influenzano la risposta cellulare
Nel corso dello studio sono emerse altre due osservazioni estremamente interessanti in ambito applicativo:
- La velocità di polimerizzazione è correlata alla dimensione della cellula sintetica, ed è maggiore nelle cellule più piccole. Questo perché una maggiore area di membrana funge da elemento inibitorio e limita l’interazione tra le proteine e la rapamicina, consumando il substrato prima che interagisca con le proteine luminali.
- La polimerizzazione dell’actina dipende dalla concentrazione della sostanza chimica che viene somministrata. Infatti, a concentrazioni più elevate di rapamicina, si osserva una maggiore attività di polimerizzazione, mentre concentrazioni più basse possono rallentare o limitare questo processo.
Le potenzialità della cellula sintetica in medicina
Questo modello di cellula sintetica rappresenta un’innovazione non solo per la biologia, ma anche per la medicina. Costituisce anzitutto un modello di frontiera per ottenere una comprensione sempre maggiore dei processi biologici chiave – come la motilità cellulare, la morfogenesi e la divisione – al fine di controllarli e impiegare questa conoscenza in future terapie. Il modello fornirà inoltre un sistema più affidabile rispetto a quelli in vitro attualmente impiegati per valutare la risposta cellulare ai farmaci. Inoltre, le cellule sintetiche potranno essere fabbricate specificatamente per mimare le caratteristiche dei pazienti, consentendo test personalizzati ed ottimizzati.
Altro impiego interessante delle cellule artificiali sono le microcapsule per veicolare sostanze nel corpo: obiettivo dei ricercatori è proprio quello di fornire a queste strutture la capacità di spostarsi verso un target specifico, sfruttando i segnali chimici. Le cellule ingegnerizzate potranno poi essere impiegate anche come veicoli di coloranti nelle tecniche di acquisizione dell’immagine e, ancora, caricate con fattori di crescita per stimolare la rigenerazione dei tessuti e promuoverne una più rapida guarigione.
Utilizzando le cellule sintetiche come bioreattori, sarà possibile produrre biomolecole, enzimi o proteine con reazioni chimiche controllate, riducendo l’energia di attivazione necessaria al processo e limitando gli effetti collaterali. Possono essere sfruttate soprattutto per attivare reazioni a cascata o complesse, portando al rilascio di prodotti terapeutici, eventualmente anche specifici per i singoli pazienti.
Infine, le cellule sintetiche potranno essere impiegate come biosensori, rilevando segnali chimici associati a patologie e garantendo diagnosi più rapide e precise.
Conclusioni e sviluppi futuri
La strada è ormai tracciata. Non resta che continuare ad approfondire l’ambito della biologia sintetica per arrivare allo sviluppo di sistemi sempre più vicini alle cellule naturali. I meccanismi alla base della vita restano ancora un mistero, ma oggi abbiamo fatto un passo in avanti nella loro comprensione. Di sicuro, la nuova cellula sintetica non è solo uno strumento di studio ma promette un decisivo miglioramento per la diagnostica, lo sviluppo di farmaci e la medicina personalizzata.
Fonti ed approfondimenti:
- Science – Synthetic control of actin polymerization and symmetry breaking in active protocells;
- Scitechdaily – Synthetic Wonders: How Johns Hopkins Is Redefining Cellular Engineering;
- Genetic Engineering & Biotechnology News – Synthetic Cell Mimics Biological Response to Chemical Cues in the Body
- Ansa – La prima cellula sintetica con una funzione vitale