I bioingegneri della Columbia University e del City College di New York hanno recentemente sviluppato un dispositivo microfluidico per studiare le interazioni tra le cellule del tumore alla mammella e quelle della matrice circostante, al fine di effettuare analisi sulla risposta a nuovi farmaci antitumorali.
Questo è solo uno dei tanti esempi di come la rapida evoluzione dei sistemi bioingegneristici rivolti alla medicina personalizzata, connessa ai costi elevati ed alla discussa efficacia dei test preclinici (e.g., sperimentazione animale), abbia spinto ricercatori d’avanguardia e l’industria farmaceutica ad investire nello sviluppo di piattaforme tecnologiche capaci di ricreare modelli di organi e patologie in vitro, meglio noti come lab-on-a-chip e/o organ-on-a-chip. Una loro importante area di utilizzo risiede nello studio di particolari tipi di tumore altamente maligni e nella risposta di questi a sempre più avanzate terapie, tramite i cosiddetti tumor-on-a-chip.
I tumor-on-a-chip: sistemi funzionali e versatili
In questo ambito sono molteplici le ricerche relative all’ottimizzazione dei trattamenti basati su farmaci chemioterapici e il loro confronto con i trattamenti tradizionali. Questi modelli ben si prestano per lo sviluppo di esperimenti biologici che spesso richiedono molto tempo (settimane, o addirittura mesi) e numerose repliche al fine di raggiungere dei risultati accurati (e quindi ripetibili).
Grazie all’impiego di camere compartimentalizzate (cioè isolate tra loro), è possibile studiare la coltura simultanea di cellule della stessa popolazione oppure di gruppi di cellule di diverso tipo, monitorandone la crescita. Ciò può avvenire, ad esempio, attraverso tecniche di osservazione e di sequenziamento del genoma (Figura 1). Una volta realizzati, questi chip possono essere maneggiati non solo da tecnici, ma anche da personale clinico, in quanto semplici da manipolare.
L’ingegneria nei tumor-on-a-chip
Dal punto di vista tecnologico i tumor-on-a-chip possono fornire alle cellule stimoli chimici, fisici e biologici controllabili, così da riprodurre più fedelmente in vitro il microambiente tumorale riscontrabile in vivo.
Questi sistemi sono caratterizzati da una particolare miniaturizzazione del sistema, che facilita il raggiungimento di un buon grado di versatilità a seconda del target di investigazione, e da una notevole riduzione di quantità del materiale necessario per svolgere i test biologici e farmacologici (e di conseguenza “riduzione dei costi“).
I lab-on-a-chip comunemente sfruttano, in ingresso, microcanali per il trasporto direzionato di ossigeno e nutrienti contenuti nel mezzo di coltura. In uscita, i microcanali trasportano anidride carbonica, scarti e prodotti cellulari, con una portata nota e modificabile. Tra ingresso e uscita del chip, troviamo la coltura 3D che simula, in questo caso, il tumore. Una nanotecnologia a tutti gli effetti.
Questi sistemi, inoltre, hanno un design facilmente riproducile e sono costituiti da materiali di uso comune – come ad esempio il vetro – e sono prodotti con tecniche a basso costo (e.g., soft litography e 3D printing su vetrini accoppiati a polimeri trasparenti – PDMS).
I tumor-on-a-chip consentono di includere al loro interno substrati dalla geometria 2D e 3D, fondamentali per garantire la distribuzione degli stimoli meccanici al modello in vitro sviluppato, ovvero a seconda delle condizioni di coltura che si vogliono replicare.
Ad esempio un epitelio stratificato avrà necessità di una membrana porosa planare, mentre le cellule dell’osso richiedono un substrato rigido. Allo stesso modo, una coltura di cellule stromali richiederà un ambiente tridimensionale “soft” simile alla matrice extracellulare.
L’elevato grado di versatilità di questi dispositivi risiede nella loro semplicità e nella possibilità di accoppiare sensori e strumentazione che possano distribuire, tra gli altri, stress a compressione, a trazione, a flessione e anche una stimolazione di tipo elettrico (ad esempio tramite l’utilizzo di microelettrodi) (Figura 2). Tutto ciò per ottenere una simulazione della realtà tumorale il più precisa possibile.
Diversi modelli di tumor-on-a-chip sono stati sviluppati per lo studio del carcinoma del rene e del fegato, ma anche del tumore ovarico, della ghiandola mammaria e della ghiandola prostatica. Esempi di piattaforme microfluidiche in oncologia esistono anche per il pancreas, per le cellule della pelle e per l’epitelio polmonare. Infine, evidenze scientifiche di rilievo sono state ottenute anche sui diversi tratti intestinali (colon e retto) e sul neuro-glioblastoma.
Le principali applicazioni dei tumor-on-a-chip: test farmacologici, nanomedicina ed immunoterapia
I tumor-on-a-chip rappresentano un avanzamento per la terapia oncologica personalizzata. Grazie infatti alla scoperta della riprogrammazione cellulare, è possibile sfruttare le cellule del paziente ed ottenerne la loro versione a pluripotenza indotta (si tratta di cellule in grado di diventare tutte le cellule di un organismo), risultando così una fonte preziosa per test di laboratorio mirati (i cosiddetti “modelli patient-on-a-chip”).
Vediamo allora qui di seguito le principali applicazioni dei tumor-on-a-chip.
Nanomedicina e screening farmacologico
Nella fase di valutazione di un farmaco vi sono numerosi fattori da considerare prima di renderlo somministrabile, tra cui la farmacocinetica, la tossicità e l’efficacia. In questo ambito ben si prestano i dispositivi microfluidici per testare il tempo di vita e gli effetti del farmaco di interesse in ambiente simil in vivo.
Uno studio recente si è focalizzato sull’applicabilità della nanomedicina ai tumor-on-a-chip: per ridurre la solubilità del farmaco oncologico è stato dimostrato che è necessario accoppiare le molecole attive del farmaco stesso con dei nanocarrier, per facilitarne il trasporto aumentandone il tempo di vita. Data la complessità del problema, si è reso necessario monitorare, a livello delle singole cellule, il flusso del mezzo di coltura contenente il farmaco ed il gradiente di quest’ultimo, all’interno della camera ospitante le cellule tumorali (Figura 3).
Inoltre in un altro studio è stata condotta la validazione di un dispositivo microfluidico per screening farmacologico del tumore della ghiandola mammaria, che coinvolge sia le cellule del sistema vascolare (che rappresentano la barriera tra la matrice tumorale e la circolazione sanguigna) sia le cellule del microambiente tumorale (Figura 4). I ricercatori hanno riscontrato come la diversa composizione del comparto tumorale, ricco di fibroblasti, cellule staminali e fibroblasti tumorali, sia determinante sia per la crescita delle cellule mutagene che della risposta di queste ai farmaci.
Immunoterapia
Si tratta di una tipologia di trattamento terapeutico che sfrutta le cellule del sistema immunitario del soggetto malato come “medicina” per combattere l’avanzamento di un tumore. Nonostante il successo dell’immunoterapia nella cura oncologica in patologie come il melanoma ed il tumore al polmone, restano ancora in gran parte all’oscuro i meccanismi di comunicazione tra le cellule tumorali e quelle del sistema immunitario, fondamentali per poter prevedere con elevata accuratezza il trattamento immunoterapeutico specifico per il paziente.
Per tale ragione scienziati ed immunologi hanno recentemente rivolto l’attenzione verso i dispositivi microfluidici ingegnerizzabili per riprodurre validi modelli in un sistema tridimensionale, grazie alla possibilità di intrecciare tra loro fattori chimici, fisici e biologici originariamente coinvolti nella generazione del tumore.
Questi dispositivi, infatti, consentono di identificare il contesto immunitario specifico del tumore, che rappresenta un fattore fondamentale per scegliere l’approccio immunoterapeutico giusto da cui il paziente potrebbe trarre beneficio (Figura 5). Inoltre grazie alla presenza di camere isolate dalla geometria specifica ed al flusso di mezzo di coltura specifico, è possibile valutare la generazione di nuovi vasi sanguigni, che giocano un ruolo chiave nello sviluppo delle masse tumorali e nel reclutamento di cellule del sistema immunitario.
Conclusioni
Le piattaforme microfluidiche rappresentano una promettente alternativa ai modelli animali, sia per lo screening farmacologico che per l’ampliamento dello sviluppo di immunoterapie per patologie oncologiche incurabili, le quali colpiscono diversi tessuti del corpo umano. La sperimentazione animale infatti conserva ad oggi numerose limitazioni scientifiche, gestionali e, soprattutto, etiche. I modelli animali di grandi dimensioni, più vicini all’uomo, sono costosi e soggetti a maggiori considerazioni etiche. Gli animali di piccola taglia sono più economici, ma meno fedeli nella fisiologia e nella patologia rispetto all’uomo. Questo comporta una risposta spesso inefficace durante la valutazione di nuovi farmaci e nuove terapie che, una volta applicate all’uomo, verosimilmente falliscono nelle prime fasi.
Per tale ragione, un efficace screening in vitro abbatterebbe notevolmente il tasso di fallimento di questi test nelle fasi regolatorie conseguenti, ovvero nei test preclinici e clinici. In questo ambito i dispositivi microfluidici offrono un grado di personalizzazione superiore rispetto ai convenzionali sistemi di coltura, risultando molto più simili all’ambiente in vivo e fornendo rapidamente i risultati data la semplicità della loro struttura, che consente differenti tipi di analisi.
Fonti ed approfondimenti
- Science – Colorectal tumor-on-a-chip system: A 3D tool for precision onco-nanomedicine
- Advanced Healthcare Materials – High‐throughput tumor‐on‐a‐chip platform to study tumor–stroma interactions and drug pharmacokinetics
- Biosensors – Integrating biosensors in organs-on-chip devices: a perspective on current strategies to monitor microphysiological systems
- Elveflow – Tumore alla mammella
- Toxicology – Human in vitro vascularized micro-organ and micro-tumor models are reproducible organ-on-a-chip platforms for studies of anticancer drugs.
- Nature – Organs-on-chips: into the next decade.
- Lab-on-a-chip – Tumor-on-a-chip platforms to study cancer–immune system crosstalk in the era of immunotherapy