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Diabete: una lente a contatto per monitorarlo

Scritto da Gabriella Di Santo

In tutto il mondo sono circa 400 milioni le persone costrette a convivere con il diabete, una malattia subdola, spesso limitante, dalle innumerevoli conseguenze e su cui ci sarebbe davvero molto da dire. Per ogni diabetico è di fondamentale importanza monitorare costantemente il livello di glucosio nel sangue e cercare di mantenerlo il più stabile possibile.

Un buon controllo della glicemia permette di limitare, seppur non completamente, tutte le patologie collegate al diabete e di condurre una vita pressocchè normale. Ad oggi i dispositivi più usati per la misurazione hanno bisogno letteralmente di una goccia di sangue per dire in pochi secondi quanto zucchero c’è nel sangue. Seppur la maggior parte dei pazienti si sia ormai abituata ad avere a che fare con aghi e micro-punture più volte al giorno, di certo evitare loro questi fastidi non sarebbe niente male! Ed è a questo che si sta lavorando: mettere a punto dispositivi di misurazione meno invasivi e meno fastidiosi possibile, ma allo stesso tempo in grado di fornire risultati precisi e affidabili.


A questo proposito nel 2014 due multinazionali famosissime hanno annunciato i primi frutti di un lavoro durato anni: una semplice lente a contatto in grado di misurare la concentrazione di glucosio nelle lacrime di chi la indossa. I nomi delle aziende? Google, e in particolare la sua ex-divisione (attualmente facente parte della holding Alphabet) volta agli studi biologici chiamata Verily Life Sciences, e Novartis International, con Alcon impegnata nel campo della salute degli occhi.

Una lente per il glaucoma

Non si tratta del primo progetto al mondo di diagnostica mediante lenti a contatto. Infatti già è presente sul mercato una lente di questo tipo rivolta a tutti coloro che soffrono di glaucoma. Il glaucoma è una delle complicanze acute e tardive del diabete. Comporta un aumento della pressione intraoculare dovuta ad un cattivo riassorbimento dell’umor acqueo, liquido trasparente con capacità refrattive, umettanti e nutritive agenti soprattutto a livello di cornea e cristallino.

Il nostro sogno è quello di migliorare la qualità della vita di milioni di persone miniaturizzando i componenti elettronici e sfruttando le tecnologie più recenti. (Sergey Brin – cofondatore di Google)

La lente a contatto per il glaucoma usa un’antenna di oro sia per ricevere energia che per trasmettere i dati.

Nella maggior parte dei casi si arriva tardi ad una diagnosi. E anche a diagnosi fatta il paziente dovrà effettuare frequentemente un esame oculistico per rilevare la pressione intraoculare. Proprio mediante una lente a contatto si ha la possibilità di effettuare lo stesso tipo di misurazione, ma con maggiore frequenza e comodità senza bisogno di recarsi continuamente da uno specialista.

Come è fatta la lente

Il progetto di ricerca condotto da Alcon e Verily ha portato a due tipi di lenti: una simile alle comunissime lenti a contatto e l’altra invece impiantabile chirurgicamente. La prima, monouso, può essere messa e tolta con un semplice tocco, la seconda, al contrario, una volta inserita nell’occhio vi resterà per lungo tempo e non sarà necessaria alcuna azione da parte di chi la indossa.

Per ovvi motivi le lenti sono state progettate per essere quanto più confortevoli possibili e tali da permettere il normale flusso di ossigeno dall’esterno verso l’occhio. Sono state costruite a partire da particolari materiali, come idrogel, sfruttando sensori e parti elettroniche flessibili e semitrasparenti. Con un diametro di 14 millimetri e uno spessore variabile tra i 100 e i 200 micrometri, queste lenti sottilissime sono un piccolo gioiello della microelettronica. Al suo interno troviamo infatti oltre ai sensori, dei microcircuiti in grado di controllare i sensori stessi e di trasmettere i risultati ad un dispositivo esterno, per esempio uno smartphone, mediante un’antenna più sottile di un capello.

Problematiche e questioni aperte

Ma cosa c’è da migliorare allora? Il vero problema è l’alimentazione, fornire loro l’energia necessaria senza danneggiare l’occhio. Si potrebbe pensare ad una batteria, ma sarebbe necessario progettarne una molto piccola e soprattutto che non interferisca chimicamente con il nostro corpo. Una delle vie praticabili, a cui si lavora alla University of Applied Sciences of Southern Switzerland nel laboratorio di Diego Barretino, sembra essere quella dell’alimentazione wireless, mediante un accoppiamento induttivo nella zona di campo vicino. Ciò vuol dire che la fonte di energia deve trovarsi ad una piccola distanza dalla lente (qualche centimetro) per permettere la trasmissione a basse frequenze senza apportare danni ai tessuti, cosa che invece avverrebbe se si lavorasse nella zona di campo lontano e quindi ad alte frequenze. Per garantire questa vicinanza si è pensato di inserire la sorgente sugli occhiali del paziente. Seppur questa non sia la soluzione migliore sembra comunque un ottimo punto di partenza.

Nel laboratorio di Herbert de Smet della Ghent University in Belgio, invece, si è pensato di inserire delle piccolissime celle fotovoltaiche sulle lenti a contatto stesse così da rendere possibile una vera e proprio auto-alimentazione. Ulteriori proposte si basano sullo sfruttamento delle vibrazioni dovute ai movimenti dell’occhio e delle sostanze chimiche presenti nel nostro corpo per produrre potenza elettrica. Si tratta comunque ancora di idee in via sperimentale.

Altro elemento su cui la ricerca deve ancora fare dei progressi riguarda i biosensori da inserire all’interno delle lenti. A seconda che si tratti di lenti monouso o impiantabili chirurgicamente le esigenze sono diverse: nel primo caso è necessario costruire lenti e quindi biosensori dal costo relativamente basso; nel secondo caso invece, sarà necessario mettere a punto dei sensori biologici in grado di funzionare correttamente almeno dieci anni per evitare continui interventi al paziente. In quest’ultimo caso, al fine di aumentare la longevità della lente, si sta lavorando a dei sensori in nanoscala in modo da inserirne centinaia, se non migliaia, in un unico dispositivo.

La lente a contatto di cui stiamo parlando, come già detto, si propone di restituire il valore di glucosio nelle cosiddette lacrime basali, ovvero il fluido che bagna i nostri occhi, in particolare la cornea. Il biosensore più conosciuto, e che probabilmente assolve al meglio questo compito, è di tipo elettrochimico ed è stato progettato da Babak Parviz, ingegnere elettrico e professore all’Università di Washington, ma soprattutto, potremmo dire, il padre del progetto Verily-Acon sulle lenti a contatto. Il suo sensore usa un enzima che catalizza una reazione avente il glucosio tra i reagenti e perossido di idrogeno tra i prodotti. Il perossido di idorgeno viene poi ossidato in modo da rilasciare elettroni in grado di creare una corrente proporzionale alla concentrazione di glucosio.

Un’ulteriore problematica che allontana, almeno per adesso, queste lenti a contatto “misuratrici” dal mercato, è l’affidabilità delle misurazioni. In primo luogo il livello di glucosio nelle lacrime basali va da 0,1 a 0,6 mmol, invece nel sangue è compreso in un intervallo compreso fra 4 e 6 mmol. Pertanto si è fatta strada l’ipotesi che la misurazione della concentrazione di glucosio nel fluido che bagna i nostri occhi non sia abbastanza per controllare un disturbo come il diabete. Vi è poi da fare una distinzione tra i diversi tipi di lacrime che possono trovarsi nell’occhio: lacrime basali, lacrime causate da irritazioni e lacrime scaturite dalle emozioni.

La loro composizione chimica non è identica, perciò chi garantisce che il risultato della misurazione di glucosio in un tipo piuttosto che in un altro sia la stessa?

Si è evidenziato sperimentalmente come variazioni di glucosio nel sangue si rendano visibili nelle lacrime soltanto 13 minuti più tardi. Basterebbe calibrare opportunamente il sistema se questo gap temporale fosse costante ma non c’è alcuna prova che lo sia.

Per quanto appena detto non si può di certo dire che questo sia un progetto chiuso, al contrario gli scienziati dovranno cercare di sbrogliare una matassa ben intrecciata. Pertanto il lavoro continua anche grazie alla collaborazione dei pazienti diabetici, infatti lo scorso anno è iniziata la sperimentazione vera e propria. D’altra parte però, i ricercatori non sono focalizzati solo sulla misurazione di glucosio, ma anche di altre sostanze che possono trovarsi nei fluidi che lubrificano i nostri occhi e che potrebbero permetterci di rilevare in tempi brevi o addirittura in anticipo rispetto ad adesso, disturbi e patologie, talvolte fulminanti.

Le premesse ci sono e lasciano ben sperare; basta guardarsi indietro anche di pochi anni per rendersi conto che le tecnologie e le “scoperte” in ambito biomedico sono state sensazionali. Il futuro non sarà da meno.
Fonti e approfondimenti:
Microsensori ed elettronica flessibile per uno sguardo più attento al diabete e al glaucoma
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Informazioni autore

Gabriella Di Santo

Studentessa di Ingegneria Clinica all'Università La Sapienza di Roma. Appassionata di medicina e interessata a tutte le scoperte e innovazioni tecnologiche applicate in campo biomedicale, soprattutto nel settore degli organi artificiali.

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