Un deficit cognitivo, un disorientamento nel tempo e nello spazio. Un’alterazione dell’umore, una lieve ed iniziale perdita di memoria, fino a quella totale della propria autonomia. Uno… due… tre… sono i secondi che passano tra la formulazione di una nuova diagnosi di Malattia di Alzheimer (MA) e quella successiva nel mondo. Una patologia neurodegenerativa, irreversibile e silente, che si manifesta frequentemente nei soggetti “over 60”. Qual è la sua causa? A che punto è la ricerca scientifica?
La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé.
Oscar Wilde
Origine dell’Alzheimer ed ereditarietà
Alla base della malattia ci sarebbe la degenerazione dei neuroni dopaminergici, ma la causa di questo fenomeno resta per il momento sconosciuta. Ad indagare su una genesi diversa della malattia è stato il Professor Marcello D’Amelio, coordinatore del Laboratorio di Neuroscienze Molecolari della Fondazione Santa Lucia IRCCS. In collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico di Roma, il Professor D’Amelio ha pubblicato i risultati della sua ricerca su Nature Communications. Secondo questo studio, la degenerazione nella MA originerebbe dai neuroni produttori di dopamina (un neurotrasmettitore) dell’area tegmentale ventrale (VTA), incaricati di rilasciare il neurotrasmettitore stesso nell’ippocampo e nel nucleo accumbens (Figura 1).
La VTA non era mai stata approfondita prima. Si tratta di una zona profonda del sistema nervoso centrale, difficile da indagare con le tecniche attuali di neuroimaging. Infatti, il motivo per cui I’uso dei farmaci cosiddetti “inibitori della degradazione della dopamina” funzionano principalmente nelle fasi iniziali della MA, è proprio perchè nella VTA sopravvive ancora un buon numero di neuroni.
L’ippocampo – che è la regione cerebrale dove avvengono la formazione dei ricordi e la trasformazione della memoria a breve termine in quella a lungo termine – insieme al nucleo accumbens – che controlla la gratificazione e il tono dell’umore – aumentano anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa da parte del soggetto, fino alla depressione.
A differenza di altre patologie come l’anemia falciforme o della fibrosi cistica, la ricerca sulla MA richiede un approccio multi-fattoriale. Infatti, questa terribile condizione neuro-degenerativa non è semplicemente causata da mutazioni di un singolo gene. Non sorprende quindi che più di un gene specifico possa essere coinvolto nella patogenesi della malattia.
Generalmente, secondo il dogma centrale della biologia, un gene produce una proteina, anche se quest’ultima può non svolgere correttamente la sua funzione.
Statisticamente, un caso di MA ogni quattro ha base genetica familiare, mentre gli altri tre (quindi circa il 75%) si manifestano su base sporadica. Per esempio, il gene APP della proteina amiloide è legato a forme della MA a insorgenza precoce (addirittura tra i 35 e i 50 anni) e l’ApoE (apolipoproteina E) costituirebbe un fattore di rischio maggiore nello sviluppo della malattia, in particolare nella forma ApoE4.
Dunque, indagando sempre sulla fase iniziale di insorgenza della MA, l’accumulo delle suddette proteine (tau e beta amiloide) può consentire la scoperta non solo di terapie farmacologiche, ma soprattutto di terapie geniche, specie se correlate all’ApoE4.
Editing genomico: la terapia del futuro
Il 2020 è stato un anno importante per la ricerca. La biochimica Jennifer Doudna e la microbiologa Emmanuelle Charpentier ottengono il Premio Nobel per la Chimica per aver sviluppato il sistema CRISPR-Cas9. Questo strumento di editing genomico, per definizione, consente di correggere il genoma di una cellula o di aggiungere ed eliminare geni a piacimento.
Qualunque tipo di cellula animale, vegetale e umana può essere modificata ovunque geneticamente anche solo per un singolo errore. Questa tecnica è facile da utilizzare, veloce ed economica, tutti fattori che contribuiscono ad ampliarne le potenzialità in ambito terapeutico.
Osservatorio Terapie Avanzate
Come funziona CRISPR-Cas9?
L’acronimo CRISPR – “Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats” – si riferisce a sequenze geniche che si ripetono a intervalli regolari. Al sistema CRISPR sono associati i geni Cas (“CRISPR associated“, da cui deriva “CRISPR-Cas9“), che codificano enzimi capaci di tagliare il DNA, come delle forbici.
Sebbene questo sistema sia stato originariamente scoperto nei batteri, nei quali agisce come arma di difesa contro i virus, nel campo della ricerca CRISPR si basa sulla combinazione di due elementi: un enzima Cas9 e un RNA guida (Figura 2).
CRISPR-Cas9 è una tecnica definita di “taglia e cuci“, utile per intervenire sul DNA delle cellule che hanno geni funzionanti, ma difettosi nella loro funzione biologica (e.g., funzione enzimatica e/o proteica) (Figura 3). Infatti i primi studi clinici sull’uomo che hanno usato CRISPR sono iniziati nella speranza di curare le malattie estraendo le cellule danneggiate dal paziente, riparandole e sostituendole.
Tuttavia, CRISPR potrebbe non modificare un locus genico nel posto giusto, dando così luogo ai cosiddetti “effetti genici fuori target“. Alternativamente, potrebbe addirittura non essere particolarmente efficiente.
Questi risultati nel complesso forniscono una guida per produrre e somministrare in modo sicuro cellule editate. Con questa tecnica abbiamo reso democratico il gene editing – è così facile e poco costoso che qualunque laboratorio minimamente attrezzato può farlo.
Jennifer Doudna
Occorrerà del tempo per capire se strumenti come CRISPR saranno in grado di fornire un valido aiuto anche nella cura per la Malattia di Alzheimer. Infatti, nell’ambito della ricerca oncologica, CRISPR-Cas9 permette di “silenziare” un gene lungo la sua sequenza del DNA. Ciò consentirebbe di modificare i meccanismi di controllo dell’attività del gene stesso, nonché le conseguenze dell’evoluzione della malattia.
Nuove strategie a confronto: da CRISPR a TREE
David Brafman, professore associato dell’Arizona State University, e il suo team di ricerca stanno valutando il potenziale delle cellule staminali come modello su cui indagare l’effetto di mutazioni specifiche o fattori di rischio associati alle malattie neurodegenerative. Nel suo lavoro di ricerca, Brafman utilizza le cellule staminali pluripotenti indotte (hPSCs), poichè hanno la capacità di diventare o differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula nel corpo umano. In questo contesto, il team investigativo ha sviluppato la tecnica TREE – “Transient Reporter for Editing Enrichment” – modificando le hPSCs.
Studiamo malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e utilizziamo cellule staminali per studiare specifiche mutazioni o fattori di rischio associati alla malattia. Per ragioni ancora sconosciute, stavamo incontrando difficoltà nel generare linee di cellule staminali utilizzando un approccio di editing tradizionale basato su CRISPR.
David Brafman
Qual è la differenza tra CRISPR-Cas9 e TREE?
Il sistema CRISPR taglia entrambi i filamenti del DNA e agisce su cellule già differenziate, mentre il metodo TREE agisce unicamente su un singolo filamento del DNA e su cellule staminali. Questa evoluzione del sistema di editing, denominato “base editing“, permette di non effettuare tagli ed è in grado di correggere un singolo accoppiamento di basi errato con un metodo di rilevamento di modifica avvenuta (Figura 4).
Le cellule in cui la modifica è stata correttamente apportata sono facilmente identificabili perché emettono una fluorescenza verde anziché blu. Isolando quelle cellule si è quindi in grado di ottenere popolazioni clonali da espandere indefinitamente.
Osservatorio terapie Avanzate
In questo contesto, il metodo statunitense TREE permette di modificare rapidamente ed efficacemente alcuni geni implicati nell’origine della MA. I ricercatori hanno potuto osservare che il loro costrutto – rinominato BIG-TREE – era particolarmente sensibile a livello di loci genomici e lo hanno testato sul gene ApoE, coinvolto nella genesi dell’Alzheimer.
Prospettive future
Quando si parla di tecniche di terapia genica nel campo della ricerca scientifica, ci si riferisce a un approccio specifico, essendo applicato su un tessuto specifico o in cellule mirate. Ad oggi tali tecniche sono usate in:
- agricoltura – per modificare a nostro vantaggio le caratteristiche delle piante;
- medicina – date le recenti sperimentazioni sulla beta talassemia e la diagnosi di alcuni tumori ed infezioni.
Nonostante le promettenti premesse, non sono pochi gli interrogativi in termini bioetica: si può riportare in vita un mammut? Si può modificare un embrione umano? L’implementazione dell’editing genomico ha sollevato qualche dubbio che, seppur legittimo, non può e non deve essere visto solo in termini di eventuali (ab)usi su progetti scientifici non dettati da un onesto scopo di ricerca. L’evoluzione delle tecniche di editing genomico consentirà di approfondire la causa – ed eventualmente anche la cura – di altre malattie legate a mutazioni di uno o più geni?
Il problema non è nella tecnologia, ma nel modo di utilizzarla.
Piero Angela
Fonti e approfondimenti
- Centro Alzheimer – Video di approfondimento
- Nature – Dopamine neuronal loss contributes to memory and reward dysfunction in a model of Alzheimer’s disease
- Science – A Programmable Dual-RNA–Guided DNA Endonuclease in Adaptive Bacterial Immunity
- Cell – BIG-TREE: Base-Edited Isogenic hPSC Line Generation Using a Transient Reporter for Editing Enrichment