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Tecnologie di supporto

Un nuovo approccio verso la microfluidica: stampa 3D su superfici curve

Scritto da Anna Bandoni

La stampa 3D di canali microfluidici per la sperimentazione medica è l’oggetto del nuovo e rivoluzionario studio, portato avanti dai ricercatori dell’Università del Minnesota in collaborazione con i soldati dell’Esercito Americano.

Che cos’è la microfluidica?

La microfluidica è una branca della fluidodinamica, attualmente in continua crescita, che trova applicazioni in diversi settori: dall’ingegneria tissutale ai sistemi di rilascio dei medicinali, dai sensori al bioprinting, e molto altro. Questa disciplina si basa sulla manipolazione e il controllo del flusso dei fluidi su scala micrometrica

Solitamente i dispositivi microfluidici tradizionali sono realizzati con una tecnica chiamata fotolitografia che prevede l’uso di una camera bianca in condizioni controllate. 

Con il metodo della litografia vengono creati dei reticoli dettagliati sulla superficie di un materiale: viene fatto scorrere del liquido siliconico a formare una particolare geometria reticolata, poi, una volta che sarà indurita, alcune regioni saranno ricoperte da un materiale fotosensibile (chiamato photoresist) che cambia le sue proprietà con l’esposizione alla luce. Queste aree diventeranno solubili e si scioglieranno; dopodiché il photoresist verrà eliminato tramite un solvente organico. Il risultato finale sarà il negativo dello stampo che verrà utilizzato per produrre i canali microfluidici e che potrà poi essere integrato con sensori elettronici e substrati curvilinei per creare i cosiddetti lab-on-a-chip. Questi chip non sono altro che l’analogo dei circuiti integrati usati in microelettronica, dell’ordine di centinaia di micrometri, al cui interno vengono eseguite tutte quelle azioni di analisi e controllo del campione preso in esame (alla pari di un lab), il tutto su un unico supporto (il chip).  Sono realizzati in polidimetilsilossano (PDMS), un elastomero trasparente e altamente biocompatibile.

Figura 1: Microfabbricazione di un dispositivo mediante la tecnica della litografia.

Cosa prevede lo studio?

Con una stampante 3D, il team di ricercatori è stato in grado di realizzare, attraverso un solo passaggio e in un laboratorio a cielo aperto, canali microfluidici dal diametro di circa 100 micrometri, tre volte la dimensione di un capello umano.

Usando una serie di valvole, è stato possibile controllare, pompare e reindirizzare il flusso di fluido attraverso i piccoli canali. La metodologia di stampaggio basata sull’estrusione può direttamente allinearsi e stampare strutture microfluidiche elastomeriche su substrati planari e curvilinei senza il bisogno di una successiva rifinitura

Selezionando il corretto carico di snervamento dell’inchiostro e controllando i profili delle strutture sovrastate, le pareti autoportanti possono così essere realizzate e poi essere ulteriormente chiuse per formare strutture cave come canali e camere. 

Poiché la distanza di calibrazione microfluidica è dell’ordine del millimetro, se viene applicato un momento di bending sufficientemente piccolo, le pareti stampate sono in grado di resistere, rendendo così questo metodo adatto per la stampa microfluidica. La stampa delle traiettorie di reticolo può essere progettata per creare: passaggi senza avere perdite tra i canali e le camere, intersezioni a forma di T e canali sovrapposti.

Figura 2: Superficie curva su cui sono stati stampati canali microfluidici.

Dove sta la svolta?

Il team di ricercatori del Minnesota ha escogitato un modo per realizzare questi canali microfluidici con la stampa 3D senza il bisogno di adoperare una camera bianca. Ed è proprio questo uno dei grandi vantaggi che porterebbe ad investire ancora di più sui dispositivi microfluidici. 

Come spiega il professore e leader del UMN McAlpine Research Group, Michael McAlpine, la possibilità di non essere vincolati a utilizzare una camera bianca, consente di usufruire della stampa 3D direttamente dall’ufficio di un medico o da remoto per i soldati sul campo. 

Un’ulteriore novità riguarda il fatto che a differenza dei tradizionali metodi di Additive Manufacturing, come la stereolitografia e la multijet printing, i quali tendono a contaminare i substrati per mezzo di resine grezze o materiali di supporto durante la stampa, con l’estrusione non si verifica alcuna contaminazione. Infatti, grazie a questa metodologia con cui vengono estrusi in maniera molto precisa inchiostri viscoelastici in microcanali e camere autoportanti, non è previsto l’utilizzo di materiali sacrificali. Per creare strutture cave senza materiale di supporto o rivestimenti esterni, è necessario controllare due fattori, affinché venga garantita che la sollecitazione massima delle strutture autoportanti sia inferiore al carico di snervamento dell’inchiostro estruso:

  1. almeno una dimensione dello spazio cavo dovrebbe essere relativamente piccola (da centinaia di micrometri ad alcuni millimetri) così da ridurre il carico gravitazionale totale;
  2. il carico di snervamento dovrebbe essere sufficientemente alto (maggiore di qualche decina di Pascal) così da bilanciare il carico gravitazionale della parte sovrastante.

Ma le sfide che riserva il futuro sono ancora più avvincenti. Infatti, secondo i ricercatori, la novità sostanziale di questo studio è stata riuscire a stampare per la prima volta queste strutture microfluidiche su una superficie curva

Un vero e importante passo in avanti verso la possibilità che un domani la stampa 3D possa avvenire direttamente sulla pelle umana con lo scopo finale di rilevare ad analizzare i fluidi corporei in tempo reale.


Bibliografia:
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Informazioni autore

Anna Bandoni

Laureata in Ingegneria Biomedica presso l'Università di Pisa.
Mi piace mettermi in gioco e cerco continuamente di sfidare il perimetro entro il quale sono abituata a stare.
Fin da piccola sono appassionata di scienza e tecnologia.
Grazie ai miei studi ho avuto modo di approfondire i miei interessi e comprendere i legami di due mondi apparentemente lontani come quelli dell'ingegneria e della biologia.

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