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Diagnostica Terapia e Chirurgia

Le batterie dei dispositivi impiantabili potranno essere alimentate dall’ossigeno del sangue

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Scritto da Alessia Paradiso

La necessità di dispositivi impiantabili a scopo di diagnosi e terapia di malattie è in costante crescita. Tuttavia la maggior parte di questi dispositivi si affida ancora alle batterie tradizionali che, nonostante siano ampiamente utilizzate, presentano significative limitazioni come capacità contenuta e rischi per la sicurezza, dovuti alla possibile fuoriuscita di elettroliti organici.

Recentemente è stata sviluppata una batteria Na-O2 impiantabile che rappresenta un vero e proprio salto qualitativo. La sua tecnologia utilizza un anodo a base di sodio (Na) e sfrutta l’ossigeno (O2) presente nei fluidi corporei come catodo, eliminando i rischi legati alle batterie tradizionali e sfruttando risorse rinnovabili fornite direttamente dal corpo, aprendo quindi nuove prospettive per applicazioni nel campo biomedico e della ricerca medica.

Dispositivi impiantabili

I dispositivi medici impiantabili a batteria rappresentano una rivoluzione nel campo della medicina e dell’ingegneria biomedica, trattandosi di soluzioni innovative per il monitoraggio della salute e il trattamento di condizioni mediche complesse direttamente dall’interno del corpo umano. Questi dispositivi, che spaziano dai pacemaker per il cuore ai sensori per la misurazione della glicemia, sono alimentati da piccole batterie impiantabili che garantiscono il loro funzionamento continuo e affidabile nel tempo.

La loro capacità di operare autonomamente all’interno dell’organismo apre scenari promettenti per una gestione più efficace delle patologie, migliorando significativamente la qualità della vita dei pazienti. Tuttavia lo sviluppo di tali dispositivi pone sfide uniche, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza, la durata delle batterie e la biocompatibilità, stimolando così la ricerca di soluzioni sempre più avanzate e sicure per il futuro della medicina impiantabile.

Le batterie

I dispositivi elettronici impiantabili richiedono batterie affidabili, biocompatibili e con capacità sufficiente per uno uso continuo e prolungato nel tempo. Le limitazioni delle batterie tradizionali è limitata dalla massa dei componenti attivi, come quelle a Li-I2 e Ag-Zn, che ne riducono la loro durata. Questo e altri motivi hanno portato la ricerca a trovare nuove soluzioni che sfruttano i componenti disponibili nei tessuti viventi come l’ossigeno, il glucosio, gli enzimi e addirittura il sudore per creare fonti energetiche continue e più efficienti.

Le batterie metallo-O2, in particolare le varianti Li-O2 e Na-O2, emergono quindi come candidati promettenti grazie alle loro elevate densità energetiche, superando significativamente le prestazioni delle attuali batterie agli ioni di litio. Tali batterie, per essere impiegate efficacemente in vivo, devono possedere un’architettura aperta per l’assorbimento di ossigeno dai fluidi corporei e garantire la biocompatibilità dei loro componenti.

Oltre le batterie tradizionali

In questo contesto è stata sviluppata una nuova batteria Na-O2. Progettata per applicazioni in vivo, è caratterizzata dall’uso di un anodo in lega di sodio stabile e da un catodo che sfrutta l’ossigeno ottenuto da fluidi corporei come il sangue. Questa tecnologia non solo promette un’ottima biocompatibilità e prestazioni avanzate, ma apre anche la strada a un approvvigionamento energetico continuo per i dispositivi microelettronici impiantabili, superando le sfide associate alla reattività dei materiali e alla necessità di un design flessibile per un contatto efficace con i tessuti morbidi.

Com’è fatta la batteria sodio-ossigeno

La batteria Na-O2 è costituita da un catodo in oro nanoporoso flessibile (NPG), una membrana selettiva agli ioni come separatore, e un anodo in lega ternaria NaGaSn (Figura 1). L’oro nanoporoso funge da catodo, catalizzando la riduzione dell’ossigeno proveniente dai fluidi corporei. La sua biocompatibilità assicura un funzionamento duraturo e sicuro della batteria nel corpo, promuovendo anche la rigenerazione dei vasi sanguigni più piccoli – i capillari – per un apporto costante di ossigeno. La membrana iono-selettiva impedisce efficacemente all’acqua presente nei fluidi corporei di raggiungere l’anodo in lega NaGaSn, mentre la superficie liscia della lega NaGaSn assicura bassa polarizzazione ed elevata sicurezza per applicazioni in vivo.

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Figura 1. Architettura della batteria e principio di reazione del fluido corporeo (ossigeno). Credits: Copyright© 2024 Elsevier Inc.

Per verificare la fattibilità delle batterie Na-O2 in un contesto in vivo, sono state realizzate delle celle laminate, il cui involucro è costituito da PLCL, ovvero un polimero composto da acido polilattico (PLA) e da policaprolattone (PCL). Il PLCL è stato elettrofilato per ottenere un film denso, migliorando quindi la biocompatibilità delle celle laminate per gli esperimenti in vivo. Il film di PLCL si distingue per la sua eccellente biocompatibilità, flessibilità e caratteristiche porose, risultando particolarmente adatto per l’incapsulamento di batterie a struttura aperta e per il contatto con tessuti morbidi.

I risultati

Lo studio ha evidenziato che i risultati ottenuti sia in vitro che in vivo sono promettenti sia in termini di prestazione tecnologica della batteria che in termini di biocompatibilità. Gli studi in vivo sono stati condotti su modello animale di piccole dimensioni – i.e., ratti – per valutare la funzionalità di tale tecnologia.

Le prestazioni della batteria

La batteria è stata impiantata sottocutaneamente nel dorso dei ratti, utilizzando un elettrolita organico come anolito e i fluidi corporei come catolito. La struttura esterna della batteria è rimasta stabile dopo l’impianto e ha mantenuto una tensione a circuito aperto di 1.5 V in vivo (in aria circa 1.6 V). In seguito all’impianto, sono state osservate variazioni nella tensione di scarica a seconda del periodo di tempo dall’impianto stesso, indicando quindi l’inizio della rigenerazione capillare e l’entrata limitata di fluidi nel catodo nelle prime fasi. Più nel dettaglio, la batteria ha dimostrato tensioni di scarica stabili e una densità di potenza massima di 2.6 mW/cm² a due settimane dall’impianto.

Questi risultati suggeriscono la possibilità di utilizzare quindi la batteria per alimentare direttamente dispositivi elettronici impiantati.

Biocompatibilità e funzionalità

In termini di biocompatibilità in vivo, le analisi biochimiche e immunistochimiche hanno confermato che l’impianto della batteria non ha influenzato negativamente la salute dei ratti. Non ci sono stati infatti segni di infezione, e gli organi metabolici come reni e fegato non sono stati compromessi. La risposta immunitaria all’impianto è stata infatti considerata trascurabile. I macrofagi – globuli bianchi col compito di eliminare gli agenti patogeni – non hanno mostrato differenze significative nelle risposte immunitarie tra i gruppi di ratti con e senza batteria, e i livelli di sodio prodotti dalla scarica della batteria sono stati ben metabolizzati, indicando una gestione efficace degli elettroliti.

La funzionalità della batteria impiantata è strettamente legata alla presenza di capillari intorno al lato del catodo, i quali forniscono ossigeno necessario per le prestazioni della batteria stessa.

Per valutare questi capillari, è stata impiegata la colorazione anti-CD31, che è un marcatore per una proteina specifica che si trova sulla superficie delle cellule endoteliali. L’analisi quantitativa ha rivelato che il numero di capillari intorno agli impianti non presentava differenze significative tra il gruppo sperimentale e quello di controllo, mostrando però un aumento graduale con l’estensione del periodo di impianto (Figura 2).

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Figura 2. Vascolarizzazione esterna alla batteria dopo l’impianto. (A–D) Colorazione istologica. (E–H) Colorazione con anticorpo CD31 (in rosso – nuclei cellulari in blu): le cellule endoteliali marcate mostrano la formazione di capillari nei tessuti avvolti attorno alla batteria e alla membrana elettrofilata in PLCL post-impianto. (I) Quantificazione dei capillari che coprono gli innesti nel tempo (2 e 4 settimane post-impianto). Credits: Copyright© 2024 Elsevier Inc.

Poiché le cellule tumorali sono sensibili ai livelli di ossigeno, impiantare questa batteria che consuma ossigeno attorno ad esse può far morire di fame i tumori

Xizheng Liu – Tianjin University of Technology, autore della ricerca

Conclusioni e prospettive future

L’avvento della batteria Na-Oha aperto nuove prospettive nell’ambito dell’ingegneria biomedica. Questa tecnologia promettente potrebbe rivoluzionare il concetto stesso delle batterie impiantabili, poichè  si è dimostrata affidabile per il monitoraggio implantabile, la terapia a lungo termine e la ricerca biologica. Le sue prestazioni elettrochimiche, insieme alla capacità di consumare ossigeno dai fluidi corporei, ne aprono quindi nuove opportunità per l’ingegneria biomedica. Inoltre, l’assenza di elettroliti tossici o materiali dannosi la rende sicura per l’uso nel corpo umano. Studi sulla rigenerazione tissutale, l’angiogenesi e la crescita cellulare potrebbero in futuro trarre vantaggio da questa piccola grande tecnologia.


Fonti e approfondimenti
  • Chem – Implantable and bio-compatible Na-O2 battery (accesso tramite affiliazione istituzionale)
  • EurekAlert – Implantable batteries can run on the body’s own oxygen
  • Laboratory Equipment – Implantable Batteries Powered by Body’s Oxygen
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Informazioni autore

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Alessia Paradiso

Ricercatrice in fuga.
Conseguita la laurea magistrale in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Torino, prosegue con un Dottorato in Biomateriali fuori patria. Appassionata di informazione, mantiene un sguardo completo sul mondo biomedico con tanta curiosità.

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