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Diagnostica

Autismo e Machine Learning: creato l’algoritmo per la diagnosi precoce

Scritto da Isabella Maremonti

L’autismo, perfetto sconosciuto ancora per molti, rappresenta, nel caso di quello infantile, un disturbo che si manifesta nei primi anni di vita e che può compromettere l’interazione sociale e verbale con il mondo esterno, riducendo l’interesse nella comunicazione con gli altri e portando ad alcuni atteggiamenti ripetitivi.

La definizione appena fornita riduce di molto la complessità del problema ed esclude la moltitudine di possibili diversi casi che possono essere incontrati nel diagnosticare questo tipo di patologia.

Negli ultimi anni, solo in Italia, si stima che circa quattro bambini su mille sono colpiti da questo disturbo, con una prevalenza per i maschi, interessati circa 4 volte in più delle femmine. La ragione per cui nell’ultimo decennio i casi di autismo siano aumentati, è stata cercata laddove una connessione con la malattia, di fatto, non c’è: si è parlato di “epidemia” di autismo o, ancora, di vaccini che possono portare all’insorgere di questa patologia.

Il “problema” dell’autismo è il suo essere poco conosciuto e, come spesso accade, ciò che non si conosce genera paura o insicurezza nell’affrontarlo, decifrarlo e, soprattutto, nel capirlo. E’ vero che la causa scatenante del disturbo non è del tutto chiara, ma è sempre più forte la convinzione che le matrici di origine dell’autismo possano essere genetiche o legate a un danno organico che si verifica nelle fasi di sviluppo del sistema nervoso neonatale.

Un team di ricercatori della University of North Carolina, in collaborazione con studiosi della Washington University e del College of Charleston, unendo le conoscenze in ambito neuropsichiatrico, psicologico, di analisi diagnostica per immagini e non solo, ha puntato in alto: la creazione di un algoritmo in grado di fornire una diagnosi precoce di autismo in bambini anche al di sotto del primo anno di età.

Riuscire ad ottenere un risultato simile, consentirebbe agli specialisti e ai genitori, soprattutto, di conoscere il tipo di disturbo che interessa il proprio bambino per imparare a gestirlo e affrontarlo per tempo. Uno dei punti centrali della ricerca è l’utilizzo del machine learning per la creazione di un algoritmo utile al decifrare l’eventuale presenza della patologia. I primi risultati ottenuti rivelano un’anomalia nella crescita del cervello in bambini di 6 mesi su cui, l’algoritmo, ha individuato un’elevata probabilità di insorgenza di una sindrome autistica nell’arco del 1 anno di età.

L’accuratezza del risultato supera di gran lunga quella di test, finora applicati, conosciuti come “CHAT” (Checklist for Autism in Toddlers), un resoconto delle principali attività ed eventuali disabilità del bambino, monitorate dai genitori. Si è riscontrato infatti che, contro il 50% di accuratezza dei test finora disponibili, il nuovo algoritmo ha presentato un tasso di corretta classificazione pari all’81%. Le fasi di elaborazione del test sono state condotte esaminando bambini con una più elevata probabilità di sviluppo della patologia dovuta a storia familiare e bambini con nessun sospetto di possibile trasmissione genetica del disturbo. Partendo da un’età di 6 mesi, lo sviluppo del cervello è stato monitorato a 12 e 24 mesi, grazie ad analisi per immagini di MRI (Magnetic Resonance Imaging) . Il risultato principale ci dice che in bambini con storia familiare d’autismo e, quindi, con maggior rischio di esposizione, si manifesta un significativo aumento della superficie dell’encefalo tra i 6 e i 12 mesi, collegata ad un accrescimento del volume complessivo nel corso dello sviluppo, fino ai 24 mesi. La diagnosi finale, dopo i 2 anni di vita, ha confermato poi la presenza della malattia. I ricercatori hanno fornito questi dati ottenuti dall’analisi per immagini in ingresso ad un algoritmo di deep learning:  usando tre sole caratteristiche di interesse (area della superficie encefalica, volume corrispettivo e sesso), è stato possibile individuare i pazienti affetti da autismo. Per 8 bambini su 10, la diagnosi si è rivelata corretta.  Ma lo studio non si è fermato alla sola individuazione delle anomalie della crescita encefalica, ha fatto di più.

Applicando ancora una volta le potenzialità dell’intelligenza artificiale, un nuovo algoritmo è stato testato per applicare la diagnosi non sullo sviluppo strutturale bensì sullo sviluppo funzionale del cervello del bambino. Uno dei più importanti risultati del metodo scelto è innanzitutto legato all’affidabilità: sono infatti assenti falsi positivi, per cui tutti i bambini su cui la diagnosi confermava la possibile presenza di sindrome autistica, effettivamente l’hanno poi manifestata. In questo caso, l’applicazione del machine learning, è stata associata a dati ottenuti grazie all’applicazione di una fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging), su encefali di bambini, monitorati nella fase dormiente. La prima acquisizione di immagini è stata fatta su pazienti di 6 mesi, la seconda sugli stessi ma a 2 anni di età, in modo da poter smentire o confermare le ipotesi fatte. L’uso di una fMRI consente, sulla base dell’immagine diagnostica, di poter connettere, in base alle diverse funzionalità, aree diverse del cervello in modo da poterne verificare la corretta attività. In particolare, nello studio dei ricercatori Joseph Piven e John Pruett della University of North Carolina e della Washington University, è stata misurata l’attività di 26.335 connessioni celebrali su 230 diverse regioni encefaliche.

Sulle immagini riportate, sono evidenziate alcune delle diverse possibili connessioni delle aree cerebrali, portando alla luce elementi caratteristici di un caso di autismo infantile.

L’algoritmo, anche in questo caso basato su di un’architettura di deep learning (ovvero un sistema che utilizza un numero elevatissimo di layer di elaborazione non lineari per l’apprendimento di caratteristiche utili, direttamente dai dati forniti come esempio), ha poi provveduto all’analisi dell’attività, esaminandola ed evidenziando eventuali schemi tipici dell’autismo quali particolarità nell’uso del linguaggio o comportamenti ripetitivi. Una volta ottenuto il risultato finale, il passo successivo è stata la diagnostica vera e propria: applicare il sistema solo su bambini di 6 mesi, a rischio autismo, per attendere poi la conferma dell’ipotesi di malattia o meno. Quanto raggiunto dai ricercatori è senz’altro di notevole impatto sia emotivo che scientifico. Una volta che il sistema diagnostico sarà approvato e reso disponibile ai molti, sarà possibile dare ai genitori dei bambini interessati una guida e un sostegno più solidi e validi di fronte a una diagnosi precoce e si potrà anche imparare a conoscere meglio l’autismo e le sue problematiche.

Pian piano, il quadro delle cause si sta facendo sempre più chiaro, anche se i legami con l’ereditarietà e possibili effetti dell’ambiente non sono ancora chiari. È certo, da queste recenti ricerche, che l’insorgere della patologia è da ricercare nello sviluppo del neonato, sia da un punto di vista strutturale che funzionale, ancor prima dell’emergere dei sintomi.

Ci si augura che quanto prima il test diventi ricchezza di tutti, potendo ancora una volta usufruire delle grandi potenzialità che l’intelligenza artificiale riesce ad offrire, affiancando e sostenendo, il già duro lavoro di psicologi e medici che lavorano nel settore.

Riferimenti:
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Informazioni autore

Isabella Maremonti

Laureata magistrale in Industrial Bioengineering all'Università Federico II di Napoli, da sempre si è interessata alla medicina e alle innovazioni ad essa associate. Nutre, infatti, interesse e curiosità particolari per le discipline che abbracciano lo studio della biomeccanica e dei tessuti del corpo umano.

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2 commenti

  • La ringrazio per il commento e il link che ci ha fornito di riferimento. Il nostro obiettivo primario è rendere partecipe il pubblico che ci segue di quelle che sono le maggiori innovazioni in ambito biomedicale e non svolgendo, appunto, un’attività divulgativa che esplori al meglio la tematica di interesse.

  • Grazie per la segnalazione. La divulgazione e’ una attivita’ difficile che deve fronteggiare (senza possibilita’ di successo) l’attivita’ di marketing e ha disperato bisogno di specialisti affidabili. Io penso che una buona tattica sia quella di risalire sempre alle fonti e consentirlo ai lettori. In questo caso http://stm.sciencemag.org/content/9/393/eaag2882 . I titoli sono spesso indicativi di quello che succede ai contenuti: quello originale di Giugno “Functional neuroimaging of high-risk 6-month-old infants predicts a diagnosis of autism at 24 months of age”, quello del marketing “AI Detects Autism in Infants (Again)” dello stesso giorno, e quello del marketing di 4 mesi prima…. “AI Predicts Autism From Infant Brain Scans” .

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