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Il cervello nel palmo di una mano: il futuro della diagnostica è una nuova tecnica di stampa 3D

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Scritto da Lorenzo Morelli

Nelle operazioni di chirurgia di precisione come cardiochirurgia e neurochirurgia, in particolare per quest’ultima, trovare la strada per operare una zona specifica del cervello non è un compito facile, dal momento che ogni struttura cerebrale, da individuo a individuo, è leggermente diversa. Solo pochi millimetri possono trasformare una procedura efficace in un danno (anche irreversibile) che altera le funzionalità cognitivo-motorie della persona.

In merito a ciò, la dottoressa Alexandra Golby, e il suo team di ricercatori al Brigham and Women’s Hospital di Boston stanno sviluppando un sistema che modellizzi, attraverso un’immagine 3D, il cervello di ogni persona in maniera così dettagliata da rendere visibili le relative connessioni cerebrali; ciò al fine di consentire ai chirurghi di essere “guidati” attraverso le varie aree, in tempo reale, durante l’operazione. Essi riuscirebbero così a visualizzare il “brainshift” cioè l’entità delle “deformazioni” subite a livello corticale dalle aree cerebrali, al contatto con la strumentazione. In questo modo si andrebbero a ridurre le tempistiche dovute alla scelta dell’approccio da seguire per l’operazione, e a contribuire alla minimizzazione dell’invasività e del rischio ad essa associato.

Allo stato attuale però, nella maggior parte dei casi, lo studio dell’operazione chirurgica è effettuato preliminarmente; in ambito ospedaliero è realizzato con sistemi CAD o CAS (rispettivamente Computer Aided Diagnosis e Computer Aided Surgery), dei sistemi informatici che permettono di ricostruire e visualizzare in 3D la zona anatomica cercata, ma non in maniera così fine come nel progetto di Alexandra Golby. Nella prassi ospedaliera quindi, lo studio può essere riassunto nei seguenti passi:

  • Visualizzazione dei dati provenienti dal sistema di imaging diagnostico scelto (come Radiografia (RX), Risonanza Magnetica (RM), Tomografia Assiale Computerizzata (TAC));
  • Segmentazione (identificazione e riconoscimento) delle strutture anatomiche di interesse;
  • In caso di dati volumetrici, ricostruzione tridimensionale per ottenere una migliore comprensione della struttura anatomica (realizzazione dell’immagine 3D);

Lo studio basato su questi sistemi non permette quindi di avere alcuna esperienza diversa da quella visiva della struttura di interesse, quando sono invece le informazioni tattili ad essere fondamentali nelle operazioni chirurgiche, soprattutto riferite alla zona cerebrale. L’analisi delle dimensioni tramite il sistema informatico, per quanto accurata, risulta spesso insufficiente nella pratica chirurgica e diagnostica; non esiste alcuna possibilità di simulare “fisicamente” l’intervento, per valutare diverse strategie.

Come dare “corpo” all’immagine diagnostica?

Utilizzare la stampa 3D per realizzare un modello fisico della zona anatomica, e dunque stabilire una strategia pre-operatoria o diagnostica, risulta essere una soluzione vantaggiosa sia per il chirurgo che per il paziente stesso; la realizzazione del modello permetterebbe al chirurgo stesso, di avere  un feedback tattile a priori della zona d’interesse dell’operazione. Egli così avrà la possibilità di studiare l’intervento direttamente su di un modello in scala 1:1, il più fedele possibile alla struttura anatomica del paziente, con tutte le caratteristiche ad essa associate (occlusione parziale o totale da parte di tessuti, deformazioni ecc.)

Questo è anche quello che ha pensato Steven Keating dottorando alla Wyss, al quale a 26 anni era stato rimosso un tumore delle dimensioni di una pallina da baseball a livello cerebrale.

Quando era ancora uno studente e membro del gruppo MIT Media Lab, spinto dalla curiosità di vedere com’era il suo cervello prima dell’operazione e con l’obiettivo di comprendere meglio la diagnosi effettuata su di lui, Keating ha raccolto i dati medici relativi alle sue diagnosi strumentali (MRI e TAC) ed ha iniziato a stamparle in 3D. Si è accorto però che la stampa effettuata era proibitiva non solo in termini economici, ma anche in termini di tempistiche di realizzazione, e non rivelava alcuna caratteristica strutturale definita, riguardo alla massa tumorale rimossagli.

(Da sinistra a destra: Ahmed Hosny con in mano modelli del tumore di Steven Keating, Steven Keating con in mano un modello del proprio cranio e James Weaver con modelli di scansione MRI di Keating)

Attraverso una collaborazione con alcuni membri del Wyss Institute dell’Università di Harvard, Ahmed Hosny e James Weaver, hanno pensato così di implementare al sistema diagnostico, una nuova tecnica di stampa 3D in grado di convertire più rapidamente le immagini di risonanza magnetica, e con un grado di precisione elevato. Vediamo in dettaglio in cosa consiste questa nuova tecnica:

Il “bitmap”: una nuova strada verso l’uso della stampa 3D nella pratica clinica

Le tecnologie di imaging, come le scansioni MRI, producono immagini ad alta risoluzione come una serie di “sezioni”, che rivelano i dettagli delle strutture all’interno del corpo umano, rendendole una risorsa inestimabile per valutare e diagnosticare lo stato di salute dei pazienti. Come già evidenziato, nella prassi ospedaliera, per giungere alla modellizzazione grafica tridimensionale, a partire da queste “sezioni”, si segue un iter procedurale; una volta acquisiti i dati grafici si procede con l’estrazione delle informazioni dalle immagini e la seguente segmentazione delle stesse.
In quest’ultima fase, si ha una suddivisione spaziale in diverse “regioni” dell’immagine: nel caso più semplice, queste “regioni” saranno parti anatomiche con proprietà uniformi; tale operazione (a causa del numero elevato di immagini da analizzare) viene realizzata tramite opportuni algoritmi automatici o semi-automatici (in quanto coadiuvati da un personale tecnico specializzato), detti per l’appunto di “segmentazione”. Tramite un processo automatico detto di “soglia” vengono salvate le diverse zone d’interesse dell’immagine acquisita, in un’immagine binaria in scala di grigi; il software dell’elaboratore dunque convertirà velocemente le regioni in pixel neri o bianchi, i quali potranno assumere varie tonalità di grigi (valore di soglia) a seconda della superfice da rappresentare.

(Esempio di segmentazione su MRI)

Tuttavia c’è un problema: i pacchetti di immagini diagnostiche contengono spesso zone, prive di confini chiari e ben definiti; al tempo stesso possono essere presenti così tanti dettagli che queste regioni di interesse (come ad esempio le metastasi) devono essere isolate dal tessuto circostante e convertiti in mesh superficiali per poter essere stampate in 3D.

Il nuovo metodo di segmentazione dei dati, sviluppato da Keating e soci, risolve entrambe le problematiche: si riescono dunque a convertire le immagini complesse in un formato, che può essere facilmente stampato in 3D in maniera dettagliata e rapida. L’innovazione sta nella stampa attraverso bitmap retinati, un formato di file digitale in cui ogni pixel di un’immagine acquisita in scala di grigi, viene convertito in una serie di pixel in bianco e nero, dove la densità dei pixel neri è ciò che definisce le diverse sfumature di grigio. L’uso dei bitmap è analogo al modo in cui le immagini su carta da giornale in bianco e nero, realizzano l’ombreggiatura: più pixel neri sono presenti in una determinata area, più scura apparirà; in questo modo si passa così dalla rappresentazione tramite pixel di varie sfumature di grigio ad una miscela di pixel bianchi o neri.

I bitmap consentono quindi a una stampante 3D di stampare immagini medicali complesse (sezione per sezione) utilizzando solo un gel, e conservando tutte le caratteristiche dei dati originali, con maggiore accuratezza e velocità. Così il team di ricercatori ha utilizzato la stampa 3D bitmap per creare modelli del cervello e del tumore di Keating che hanno conservato fedelmente tutti i dettagli anatomici presenti nei dati delle immagini della MRI archiviate.

Come avviene la stampa?

La tipologia di stampante 3D, fornita da Stratasys, e usata dal team di ricercatori, si avvale di un sistema di prototipazione rapida a produzione additiva: cioè una volta eseguita la segmentazione dei dati, la stampante rende possibile la produzione, in poche ore, di oggetti di geometria complessa, direttamente dall’immagine tridimensionale fornita, attraverso un’operazione denominata slicing; quest’ultimo prevede il sezionamento del modello matematico 3D con piani perpendicolari lungo la direzione assiale, e la generazione del codice necessario a produrre i movimenti necessari per la stampa.

La costruzione dell’oggetto avviene così strato per strato, seguendo le linee di contorno delle superfici sezionate dai piani (le slices o fette): in generale la piattaforma di prototipazione è immersa in del liquido foto sensibile che selettivamente viene fatto solidificare, tramite l’esposizione ad un laser. L’abbassamento progressivo della piattaforma permette una nuova copertura del liquido sulla struttura, e la formazione dell’oggetto slice per slice: da qui la denominazione di tecnica “additiva”.

(Cranio con dettagli delle strutture interne presenti)

In genere in questo modo si riescono a creare modelli con ogni tipo di forma e cavità interna, in tempi relativamente brevi, dell’ordine di grandezza delle ore; con l’utilizzo dei bitmap come formato digitale, si è ridotto drasticamente il tempo di costruzione del modello aumentando le possibilità di impiego in ambito clinico.

(James Weaver)

Il nostro approccio non solo consente di mantenere elevati livelli di dettaglio e di essere stampati in modelli medici, ma consente anche di risparmiare una quantità enorme di tempo e denaro. La segmentazione manuale di una TAC di un piede umano sano, con tutte le sue strutture ossee interne, midollo osseo, tendini, muscoli, tessuti molli e pelle, per esempio, può richiedere più di 30 ore, anche da un professionista addestrato: noi eravamo in grado di farlo in meno di un’ora. – James Weaver

Le possibili applicazioni

Come già accennato, questa nuova tecnica di prototipazione risulta così essere utile in neurochirurgia, chirurgia cardiovascolare e nella diagnostica, grazie alla migliore comprensione della struttura patologica e alla possibilità di pianificazione antecedentemente all’intervento: il simulare i passaggi dell’operazione utilizzando modelli fisici può aiutare a prevedere inoltre complicazioni intra-operatorie.

Keating e il suo team sperano che il loro metodo contribuisca a rendere la stampa 3D uno strumento più praticabile per esami e diagnosi di routine, educazione del paziente e comprensione del corpo umano, garantendo una miglior visione del problema per lo staff sanitario e una migliore comunicazione dello stesso ai pazienti.

Allo stato attuale però, per gli ospedali impiegare un team di specialisti per effettuare la segmentazione dei set di dati di immagini per la stampa 3D, richiederebbe un costo elevato: affinché possa essere implementato nella pratica clinica, deve essere inoltre cambiata la metodologia di archiviazione: la maggior parte dei dati dei pazienti viene compressa per risparmiare spazio sui server degli ospedali, attraverso sistemi di archiviazione di immagini medicali PACS (Picture Archiving and Communication System). Pertanto è difficile ottenere i file di MRI o TAC non alterati del loro contenuto informativo necessari per la stampa 3D ad alta risoluzione.

Anche in Italia abbiamo una realtà che sfrutta le potenzialità della stampa 3D per realizzare protesi e non solo: si tratta di Open Biomedical Initiative, una associazione no profit che attraverso dei progetti open source, garantisce a chiunque sia in possesso di una stampa 3D di realizzare protesi, dalla grande funzionalità eccellente e ad un costo basso. Tra i progetti open source più recenti, c’è BOB una incubatrice neonatale stampata in 3D che si pone come soluzione per combattere l’elevato tasso di mortalità infantile, soprattutto in quei paesi dove le strutture assistenziali come le tecnologie biomediche, a causa dell’elevato costo, non sono presenti.

(Bob, l'incubatrice sviluppata da OBM)

La stampa 3D rappresenta quindi una soluzione concreta per la diagnostica di base e chirurgica: un ulteriore passo verso un futuro che garantisca la salute, a tutti.

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Informazioni autore

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Lorenzo Morelli

Laureato in Ingegneria Clinica presso l'università "La Sapienza" di Roma e specializzato nell'ambito dell'Health Technology Management dei dispositivi medici. Ambiti di interesse: dispositivi diagnostici e tecnologie chirurgiche innovative.

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