Una sperimentazione clinica effettuata dal team statunitense BrainGate cambia la scena nel settore delle brain-computer interface (interfaccia cervello-computer), tecnologie finora considerate come “ultima spiaggia” per coloro che soffrono di handicap motori, derivanti da patologie neurodegenerative o da traumi a carico del sistema nervoso centrale, data la loro particolare invasività. BrainGate sfida gli attuali competitor del settore con una nuova interfaccia neurale dotata di un impianto intracorticale wireless. Testando le potenzialità di questa tecnologia su due soggetti umani affetti da paralisi, il team è riuscito a dimostrarne l’accessibilità anche da parte di personale non esperto.
Brain-computer interfaces: una vera e propria corsa sfrenata
Giorni fa abbiamo intervistato Paola Masiello, terapista occupazionale presso il Centro NeMO di Napoli, un’ancora di salvezza per le persone affette da malattie neuromuscolari degenerative. Le interfacce cervello-computer offrono un altro tipo di approccio, più invasivo, nel trattamento di tali patologie.
Recentemente, il video di una scimmia che gioca al famoso videogame PONG con il solo pensiero ha conquistato l’attenzione dei media di tutto il mondo. Il risultato, reso possibile con il famosissimo dispositivo N1Link ideato dal team della società Neuralink di Elon Musk, sembra aprire una porta sull’interazione diretta tra sistemi digitali e cervello. Si tratta di un’interfaccia neurale – anche detta BCI, brain-computer interface – ovvero un sistema in grado di tramutare i segnali cerebrali, di natura analogica, in segnali digitali. Pager, il macaco di nove anni coinvolto nella sperimentazione, ha ben due chip impiantati sulle cortecce motorie dei due emisferi cerebrali, ciascuno dei quali è composto da 1024 elettrodi. Tali elettrodi rilevano l’attività cerebrale che, dopo essere stata tramutata in segnali digitali, viene elaborata da un software in grado di interpretare le intenzioni motorie del primate.
Tuttavia un’altra realtà in corso che ha fatto molto meno parlare di sé, ma che probabilmente è un passo avanti rispetto al sistema di casa Neuralink, è BrainGate: un progetto nato nei primi anni 2000 dalla collaborazione di diverse importanti istituzioni tra cui Stanford University, Brown University e Case Western Reserve University.
Si tratta di un’interfaccia neurale coinvolta già da tempo in sperimentazioni cliniche, che hanno come target pazienti affetti da malattie degenerative del sistema nervoso o pazienti inabili nell’interagire con il mondo esterno, in seguito a traumi del midollo spinale. Più di 150 pubblicazioni, che la vedono da protagonista, testimoniano i traguardi raggiunti da questa tecnologia. Nel corso degli anni i partecipanti allo studio sono riusciti a governare braccia robotiche o i propri arti “rianimati” grazie alla stimolazione elettrica funzionale.
Ma non è tutto: gli è stato infatti anche possibile controllare un puntatore per l’utilizzo di un tablet, avendo così accesso ad un sistema di digitazione per la comunicazione autonoma.
Leggere il pensiero con le interfacce neurali è possibile
Con il termine interfaccia neurale si fa riferimento ad un’ampia classe di dispositivi che trovano applicazione nelle più svariate procedure di natura assistivo-terapica; ma non solo. Grazie all’interesse suscitato e i promettenti risultati ottenuti, questa tecnologia trova impiego anche in altri settori, come quello ludico-ricreativo. Molte volte in realtà, il settore medicale si intreccia con quello ludico, creando una simbiosi tra i due campi che apre nuovi sbocchi per la ricerca. In questo processo di gamification, le BCI ancora una volta si rendono fondamentali. Si veda il caso del neurofeedback, tecnica ideata per migliorare alcune capacità intellettive.
Come funziona una BCI
Partiamo dal nostro cervello. Una caratteristica molto importante della corteccia motoria primaria è l’organizzazione ben definita: ad ogni punto di essa corrisponde una specifica parte del corpo. Sfruttando questa peculiarità, è possibile assegnare ai segnali provenienti da diverse regioni corticali un’intenzione motoria specifica (Figura 1).
Questo perché in ogni istante il nostro cervello genera milioni di impulsi nervosi, cioè i segnali elettrici costituenti le onde cerebrali. Tali onde cerebrali possono essere rilevate da elettrodi metallici posizionati in prossimità delle zone cerebrali di interesse, a diversi livelli di profondità.
Una prima differenziazione tra BCI si può attuare in base al loro grado di invasività, che deriva dal metodo utilizzato per la raccolta dei dati relativi all’attività cerebrale. Ne esistono principalmente di tre tipologie: non invasive, semi-invasive e invasive (Figura 2).
Con Braingate le BCI diventano wireless
Fino ad oggi i pazienti erano fisicamente connessi al calcolatore tramite dei cavi, che permettevano il trasferimento dei dati dall’array di elettrodi al neuroprocessore. Il neuroprocessore aveva il compito di elaborarli. Tale versione cablata del sistema, nonostante i risultati raggiunti, non si prestava ad un utilizzo in contesti estranei ai laboratori. Era difficile garantirne un utilizzo continuativo tra le mura domestiche, a causa della supervisione costante che familiari e caregiver dei pazienti non potevano fornire, in quanto non esperti in materia.
Gli sforzi del team hanno poi invece condotto all’ideazione di un dispositivo wireless, di facile applicazione alla vita quotidiana. Questa versione a banda larga permette dei tempi di osservazione e monitoraggio delle attività cerebrali molto ampi, limitati dalla sola durata della batteria del trasmettitore wireless, grazie alla sua proprietà di non “incatenare” il paziente al computer. Il team è riuscito a raccogliere informazioni sull’attività cerebrale dei pazienti per oltre 24 ore. Introducendo metodiche di machine learning ad un monitoraggio continuo, il pc potrebbe imparare “autonomamente” ad interpretare le onde cerebrali migliorando la qualità dell’output relativo.
Componentistica e funzionamento
Inizialmente il flusso continuo di informazioni raccolto dall’array, attraverso il “patient cable” (prodotti dalla blackrock microsystem, 96 canali) arrivava all’amplificatore, per poi essere trasmesso lungo un cavo in fibra ottica a un neuro-signal processor (NSP), il cui compito era quello di marcare temporalmente i dati (processo chiamato timestamping) e restituire dei pacchetti dati UDP (user datagram protocol) (Figura 3).
Nel sistema wireless ogni “cavo paziente” e il relativo amplificatore vengono sostituiti da quattro componenti: un neuro-trasmettitore wireless, un ricevitore, una o più antenne e un digital hub. Non è possibile inoltre, non notare la configurazione dual-array proposta dal team, che prevede l’impianto di 2 array (anteriore e posteriore) di 96 microelettrodi.
La sperimentazione su soggetti umani ha visto il montaggio del neuro-trasmettitore wireless BWD su un connettore “piedistallo”, che fuoriesce dal cranio del paziente (Figura 4). In fase di progettazione l’obiettivo principale era l’ottenimento di un’alta frequenza di campionamento digitale, in modo da rilevare dei segnali relativi ai potenziali d’azione dei neuroni (spiking activity).
Il primo trial clinico di una BCI wireless su pazienti umani
Lo studio, che ha poi confermato la validità della connessione wireless, ha visto protagonisti due partecipanti che convivevano da tempo con una lesione del midollo spinale generante tetraplegia. I due uomini, affiancati da una equipe di ingegneri e scienziati in oltre 100 sessioni di ricerca nei laboratori BrainGate, hanno testato nel corso degli anni diversi prototipi di BCI, che fino ad oggi risultavano cablati. Grazie alla facilità di supervisione della nuova versione wireless, i pazienti hanno potuto continuare a testare l’interfaccia neurale al sicuro nelle proprie abitazioni, anche nel pieno della situazione pandemica da COVID-19.
Durante il trial entrambi i pazienti, soprannominati dal team “T5” e “T10”, rispettivamente di 63 e 35 anni, sono riusciti a ottenere il controllo di un puntatore su un dispositivo Microsoft Surface 2-in-1, riuscendo a utilizzare le app più comuni (e.g., Skype, Gmail, Youtube, App Meteo). Inoltre, mediante l’utilizzo dell’app Notepad, “T5” è riuscito a digitare correttamente 13,4 caratteri corretti per minuto.
Aspetti conclusivi
La versione wireless di BrainGate ha dimostrato di essere una valida alternativa per la connessione cablata, ancor’oggi utilizzata negli studi attinenti le interfacce neurali su esseri umani e primati. Nel tentativo di raggiungere la perfetta simbiosi tra uomo e macchina, il team di ingegneri e neuroscienziati insegue il concept di mini-invasività, al fine di migliorare la mobilità, l’autonomia e la qualità di vita dei pazienti affetti da handicap neuromuscolari.
Raggiungere questo obiettivo spingerà scienza e tecnologia ai confini più remoti, proprio come atterrare su Marte o decodificare il genoma umano, tutte cose che ad oggi risultano opere compiute.
Fonti e approfondimenti
- IEEE Xplore – Home Use of a Percutaneous Wireless Intracortical Brain-Computer Interface by Individuals With Tetraplegia https://ieeexplore.ieee.org/document/9390339/keywords#keywords
- Spectrum IEEE