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Neuroscienze

Malattie neurodegenerative: la profonda connessione tra microbiota e cervello

gut microbiome brain axis
Scritto da Benedetta Giglio

Il microbiota è un ecosistema di trilioni di cellule batteriche, gran parte delle quali risiedono nell’intestino. Recentemente, significativi studi hanno mostrato che esso influenza la fisiologia delle strutture componenti l’asse intestino-cervello: la disbiosi intestinale, ovvero l’alterazione della flora batterica, è associata a condizioni patologiche di diversa natura, comprese quelle neurologiche. In un lavoro recentissimo pubblicato sulla rivista Nature, un gruppo di studio ha identificato le specie batteriche effettivamente collegate alla diagnosi di Alzheimer.

Il sistema nervoso enterico

Nell’intestino avviene una parte decisamente importante delle funzioni biologiche: si parla di sistema nervoso enterico (SNE) per indicare la rete nervosa responsabile delle funzioni digestive (Figura 1). Questo comunica in via bidirezionale con il sistema nervoso centrale, influenzandone dei meccanismi – come la produzione di neurotrasmettitori collegati al tono dell’umore. Inoltre, questo “brain in the gut” svolge funzioni immunitarie, e questo lo rende particolarmente interessante per la ricerca.

sistema nervoso autonomo
Figura 1. Sistema nervoso enterico, parte del sistema nervoso autonomo che regola le funziono digestive. Credits: Mometrix

L’ecosistema nel nostro intestino: il microbiota

Anche la vastissima popolazione batterica presente nell’intestino (Figura 2) richiama sempre di più l’attenzione: diversi studi ormai definiscono cosa si intende per “asse intestino-cervello“, ovvero quell’insieme di vie nervose, endocrine, metaboliche ed immunitarie che mettono in comunicazione reciproca i due organi. Il microbiota e i suoi prodotti metabolici – come gli acidi grassi a catena corta (short-chain fatty acids, SCFA) – influenzano tutto il più ampio sistema modulando la neuroinfiammazione, le funzioni immunitarie ed endocrine.

Per neuroinfiammazione si intende uno stato infiammatorio che si scatena dalle cellule della microglia, che se protratto troppo a lungo può tradursi in neurodegenerazione e che incide fortemente sull’insorgenza della malattia di Alzheimer. Individuare i fattori di rischio genetici potrebbe rivelarsi cruciale nell’ambito della medicina preventiva, in quanto permetterebbe di valutare lo stile di vita più idoneo al fine di ridurre il rischio individuale di contrarre la malattia.

Un recentissimo studio, pubblicato sulla rivista Nature, individua quali sono le popolazioni batteriche direttamente connesse alla diagnosi di Alzheimer mediante l’uso della scala PRS (Polygenic Risk Score), un “punteggio” utilizzato per misurare il rischio individuale di contrarre una malattia in base ai propri tratti genetici.

modello microbioma umano
Figura 2. Modello del microbioma umano. Credits: University of California

Calcolo del punteggio di rischio poligenico: il software PRSice-2

Il gruppo di ricerca ha determinato il punteggio di rischio poligenico mediante un software di calcolo, PRSice-2, usando come base di dati una raccolta di informazioni statistiche sul microbioma umano, ovvero il materiale genetico espresso dai batteri intestinali. Sono state esaminate 119 specie batteriche, identificate essere le più incidenti sul rischio di Alzheimer dal MiBioGen Consortium, la più vasta e multietnica banca dati sul microbioma. Queste 119 specie batteriche provengono da due campioni differenti e i risultati sono stati analizzati con metodi statistici al fine di essere validati.

Questo approccio è stato già utilizzato e validato per studiare la correlazione tra la predominanza di determinate popolazioni batteriche e altre condizioni complesse, come la densità ossea e la depressione.

I batteri responsabili della neurodegenerazione

Gli studiosi hanno trovato 10 specie batteriche effettivamente associate alla diagnosi di Alzheimer. Sei di queste sono associate negativamente alla diagnosi, ovvero la loro presenza è minore nei pazienti malati e sono quindi identificate come fattori di protezione. Le restanti quattro sono associate positivamente alla malattia, costituendo fattori di rischio.

  • Collinsella – rappresenta un fattore di rischio già associato ad artrite reumatoide, diabete di tipo 2, aterosclerosi. A livello molecolare, il suo effetto potrebbe essere dovuto al potere infiammatorio del batterio: una sua eccessiva quantità aumenta la presenza di citochine infiammatorie e chemochine. Esso inoltre aumenta la permeabilità intestinale, riducendo l’espressione proteica delle giunzioni cellulari.
  • Eisenbergiella, Eubacterium fissicatena ed Eubacterium nodatum – sono tre specie batteriche negativamente associate alla diagnosi di Alzheimer, note per sintetizzare butirrato (un SFCA) dai carboidrati introdotti con l’alimentazione. Il butirrato è infatti un mediatore della risposta infiammatoria, nonché un protettore della permeabilità intestinale.
  • Lachnospira e Veillonella – sono identificati come fattori di rischio: recenti studi riportano che i pazienti affetti da Alzheimer presentano elevate quantità di Veillonella nel microbioma orale, mentre nell’intestino questi promuovono l’infiammazione. Questo risultato potrebbe porre le basi per futuri studi sulla correlazione tra patologie del cavo orale e neurodegenerative.
  • Prevotella e Bacteroides – della famiglia dei Bacteroidetes, risultano rispettivamente fattore di rischio e fattore di protezione. I primi sono presenti in quantità maggiori nel microbiota di chi segue stili alimentari plant-based, simili alla dieta mediterranea. I Bacteroides invece, tipici delle diete ricche di proteine e grassi, secernono endotossine, implicate nelle disfunzioni intestinali e nella risposta infiammatoria delle cellule della microglia.
  • Gordonia e Adlercreutzia – due specie protettive degli Attinomiceti. Essi producono urolitina A (UA) ed equolo, metaboliti fondamentali nelle funzioni mitocondriali. L’UA sono anti-infiammatori fondamentali nella mitofagia, ovvero la rimozione dei mitocondri difettosi nella cellula. La mitofagia incompleta è parte della patogenesi di Alzehimer, il che rende questo composto una promettente futura terapia farmacologica. L’equolo è un estrogenizzante che riduce la neuroinfiammazione e modula l’apoptosi cellulare.

Conclusioni e sviluppi futuri

Il tratto intestinale è una regione inesplorata, ricca di materiale genetico: le recenti scoperte stanno dimostrando l’importanza del microbiota e dello studio delle interazioni tra esso e gli altri organi vitali. L’incidenza della disbiosi intestinale sulla neuroinfiammazione viene ormai confermata da diversi studi: la ricerca ha voluto individuare quali sono i batteri maggiormente coinvolti e in che modo questi incidono sulla neurodegenerazione e in particolare sulla diagnosi di Alzheimer. Questo ed altri studi pongono le basi non solo per una futura terapia farmacologica, ma anche per una maggiore consapevolezza sul tema della prevenzione, un concetto sempre più familiare alla medicina tradizionale.

Video esplicativo sul microbiota. Fonte: Microbiology Society

Fonti e approfondimenti
  • Nature – Genetic correlations between Alzheimer’s disease and gut microbiome genera
  • Science Advances – Human physiomimetic model integrating microphysiological systems of the gut, liver, and brain for studies of neurodegenerative diseases
  • MIT News – Our gut-brain connection
  • Nature – The role of short-chain fatty acids in microbiota–gut–brain communication
  • BMC Microbiome Journal – Meta-analysis of human genome-microbiome association studies: the MiBioGen consortium initiative
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Informazioni autore

Benedetta Giglio

Laureata in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Torino, con particolare interesse verso il mondo dei dispositivi medici e delle tecnologie a supporto della riabilitazione. Appassionata di scrittura e comunicazione.

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