E se fosse possibile “registrare” i ricordi? E se fosse possibile impedire a malattie neurodegenerative come l’Alzheimer di consumare la nostra memoria? Le risposte a queste domande non saranno più frutto della fantasia, perché ad oggi la scienza ha fatto passi da gigante.
Si nutre sempre più speranza negli studi che si occupano di trovare nuove soluzioni alla perdita di memoria per persone affette da demenza o colpite da danni cerebrali, causati ad esempio dagli ictus.
Anatomicamente, la parte del cervello che viene interessata da lesioni quando la nostra mente perde la funzione mnemonica, è quella dell’ippocampo che svolge un ruolo fondamentale nella codifica dei segnali elettrici che si trasmettono lungo i neuroni nel momento in cui recepiamo informazioni dall’esterno. L’ippocampo può essere immaginato come un insieme di tanti cassetti all’interno dei quali sono contenuti i nostri ricordi della memoria così detta “a lungo termine”: le esperienze di maggior rilievo nella nostra vita vengono infatti codificate dal nostro cervello come “importanti” e, quindi, non appartenenti a una memoria passeggera (o anche detta “a breve termine”), bensì ad una duratura.
Oggetto di studio della start up Kernel, il cui coordinatore scientifico è il Prof. Theodore Berger, direttore del Center for Neural Engineering alla University of Southern California, è creare una memoria “artificiale” che riesca ad immagazzinare ricordi ed esperienze esattamente come farebbe la nostra mente se fosse sana.
Già sono anni ormai che il Prof. Berger e il suo team studiano il funzionamento dell’ippocampo e i primi fondamentali risultati sono stati ottenuti con esperimenti di funzionamento di “protesi” di memoria sugli animali, in particolare i topi.
L’obiettivo a cui oggi la Kernel aspira, volge verso la concreta possibilità di installare la protesi funzionante sugli esseri umani, iniziando quindi a produrla per cliniche specializzate.
Il disegno di base della protesi è un chip in silicio. Questo si compone di tre parti fondamentali:
- un gruppo di elettrodi di registrazione
- un microprocessore che lavora su un algoritmo matematico preimpostato
- un gruppo di elettrodi per la stimolazione dei neuroni.
Funzionamento del chip
Il gruppo di elettrodi di registrazione viene applicato sulla regione cerebrale dell’ippocampo, aggirando le zone danneggiate dalla eventuale malattia, in modo da prelevare i segnali elettrici provenienti dai neuroni. A loro volta, questi ultimi, vengono stimolati dall’altro gruppo di elettrodi installato e, tale stimolazione, serve a migliorare la capacità di “apprendimento” del neurone stesso e, quindi, di recepire dall’esterno nuove informazioni. Il passaggio da segnale elettrico di stimolazione e, quindi, di apprendimento a ricordo installato in memoria a lungo termine, avviene grazie ad un algoritmo matematico, sviluppato dal Prof. Berger stesso. Si stabilisce così un sistema di segnali ingresso/uscita, in cui quest’ultimo altro non è che il ricordo stesso.
Il primo grande successo per questa protesi è arrivato, per il team del Prof. Berger, circa due anni fa con un esperimento condotto sui ratti: installando il chip sull’animale, gli è stato insegnato a spingere due levette di azionamento per l’acqua. In seguito, è stato somministrato un farmaco che ha “cancellato” l’esperienza dal cervello del topo. Nell’ultima fase dell’esperimento, la sequenza di segnali elettrici inviata grazie al chip e opportunamente registrata, è stata riproposta identica e il ratto ha effettivamente ricordato come premere le due levette.
Questo risultato ha fatto concludere che è possibile associare, ad una specifica azione o esperienza, una sequenza di segnali elettrici che può essere non solo registrata ma anche riprodotta in modo da farla applicare al cervello che la riceve.
Un simile risultato è stato raggiunto anche con i primati e ciò ha fatto riporre enormi aspettative sugli esiti che queste protesi potrebbero avere sugli esseri umani, nella consapevolezza che gestire il bagaglio di informazioni che un cervello umano contiene e il numero di neuroni di cui esso si compone (circa 86 miliardi, contro i 200 milioni dei ratti) è una sfida notevole che non spaventa però la sperimentazione.
Il Prof. Berger si dice quindi ottimista come si evince anche dalle sue parole:
E’ davvero arrivato il momento. Stiamo testando il dispositivo sugli esseri umani ora e stiamo ottenendo i primi soddisfacenti risultati, abbiamo intenzione di andare avanti con l’obiettivo di commercializzare questa protesi – rivela in un’intervista riportata sulla rivista IEEE Spectrum.
Se l’impresa della Kernel andrà a buon fine, il futuro di milioni di persone potrebbe letteralmente rivoluzionarsi: significherebbe dare la possibilità a chi si scopre affetto da un morbo come quello di Alzheimer, di non dimenticare il proprio nome e di riprendere ad esprimersi, a parlare.
Dopo la riproduzione della memoria umana, il cervello bionico sarà il prossimo imminente passo?
Forse. Un giorno può darsi che la tecnologia donerà un’immortalità alla mente che la natura non può dare, ma per ora un obiettivo a dir poco sensazionale è stato raggiunto: la possibilità di migliorare la qualità della vita di chi soffre di malattie neurodegenerative non è più solo una speranza, è finalmente realtà.
Riferimenti:
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IEEE spectrum: New start up aims to commercialize a brain prosthetic to improve memory.
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MIT Technology Review: Memory Implants. A maverick neuroscientist believes he has deciphered the code by which the brain forms long-term memories.
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Daily Mail Online: New hope for dementia and brain-damaged patients: Scientists develop implant that can save short-term memories from being forgotten.
Grazie innanzitutto per i complimenti. L’argomento trattato ha effettivamente dell’incredibile se si pensa che fino a un decennio fa, una cosa simile, sarebbe stata etichettata come “follia”. Speriamo che la scienza continui a regalarci queste grandi sorprese.
Gli argomenti trattati sono davvero interessanti e descritti in maniera lodevole.
Donare un’immortalità alla mente …semplicemente meraviglioso!