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Neuroscienze

La prima sinapsi artificiale ibrida con “effetto memoria”: il nuovo studio di Francesca Santoro

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Scritto da Francesca Zangaro

Per la prima volta è stato realizzato un modello di sinapsi artificiale bio-ibrida in grado di simulare il comportamento delle connessioni nervose e interagire con le cellule. Composto da un’interfaccia biologica e una piattaforma elettronica, il sistema è riuscito a conservare una sorta di memoria e a riprodurre la plasticità sinaptica a breve e a lungo termine. Lo studio internazionale, pubblicato su Nature Materials lo scorso giugno, ha coinvolto il laboratorio di Tissue Electronics coordinato da Francesca Santoro dell’Istituto Italiano di Tecnologia, in collaborazione con il gruppo di Alberto Salleo dell’Università di Stanford e con il team di ricerca coordinato da Yoeri van de Burgt dell’Università di Eindhoven.

Francesca Santoro, leader nello sviluppo della sinapsi artificiale ibrida

Definendo l’attività di ricerca il suo impegno primario, Francesca Santoro, ingegnere biomedico e ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Napoli, due anni fa è stata premiata con il Mit Innovators Under35 Europe. Si tratta di un prestigioso riconoscimento assegnatole dalla Mit Technology Review, che l’ha vista divenire la prima italiana nella lista innovatori under 35, per aver progettato un cerotto fotovoltaico che stimola elettricamente la pelle, accelerando la guarigione delle ferite.
Il suo gruppo di lavoro si è però da sempre concentrato, oltre che sulla pelle, sul cervello. L’ultimo studio della ricercatrice napoletana ha proprio messo a punto i metodi per costruire una sinapsi artificiale ibrida.

Come da lei precedentemente dichiarato, prima di questo importante traguardo erano già stati realizzati sistemi capaci di ricevere stimoli, ma non in grado di eccitarsi e a loro volta mantenere l’eccitamento.
Così la ricercatrice italiana si è posta come obiettivo principale quello di accoppiare un dispositivo neuromorfico organico con cellule dopaminergiche (responsabili della trasmissione del segnale elettrico), per costituire una sinapsi bioibrida avente plasticità mediata da neurotrasmettitori. Riuscendoci, ha dimostrato sia il condizionamento a lungo termine del sistema che il recupero del peso sinaptico (quest’ultimo è una variabile plastica capace di cambiare nella fase di apprendimento e di conservare la conoscenza acquisita nella fase d’uso).

Dalla sinapsi artificiale a quella artificiale bioibrida

Le sinapsi – che nel cervello sono circa un milione di miliardi – sono strutture altamente specializzate, punti di contatto tra due cellule nervose che propagano gli impulsi nervosi: senza queste connessioni, funzioni neuronali come l’apprendimento e la memorizzazione non sarebbero possibili.

Il meccanismo di azione di una sinapsi chimica è il seguente:

  • Un potenziale d’azione depolarizza il terminale assonale;
  • la depolarizzazione apre i canali voltaggio-dipendenti per il Ca2+, quindi il Ca2+ entra nella cellula;
  • l’ingresso di calcio provoca l’esocitosi del contenuto delle vescicole sinaptiche;
  • il neurotrasmettitore diffonde attraverso lo spazio sinaptico e si lega ai recettori sulla cellula postsinaptica.

Figura 2. Schema dell’interazione tra un neurone presinaptico, il trasmettitore dell’impulso, e un neurone postsinaptico (il ricevente dell’impulso).

Così facendo, il segnale passa da una cellula all’altra.

Nel gennaio del 2019 l’Istituto dei materiali per l’elettronica ed il magnetismo del Consiglio Nazionale delle Ricerche ha pubblicato uno studio su Advanced Materials Technologies, che ha confermato il buon esito di un progetto dedicato alla realizzazione delle connessioni sinaptiche artificiali. Ciò è stato reso possibile grazie ad un dispositivo elettronico sviluppato da polimeri, il memristore, in grado di trattenere una memoria della corrente elettrica passata al suo interno e di emulare i comportamenti sinaptici di memorizzazione e apprendimento delle cellule neurali naturali.

Successivamente, per la realizzazione del modello bioibrido, il team internazionale sopracitato ha utilizzato delle specifiche cellule di ratto in grado di rilasciare la dopamina (un neurotrasmettitore) e simulare in questo modo il comportamento del neurone presinaptico. Per riprodurre invece il neurone postsinaptico è stato sviluppato un chip neuromorfico organico che si attiva – come un vero neurone – dopo la ricezione di una certa quantità di dopamina, mantenendo lo stato di eccitamento alterato. Il cosiddetto effetto memoria. I ricercatori hanno dunque riprodotto in laboratorio la plasticità sinaptica, cioè la capacità da del sistema nervoso di modificare le sinapsi, instaurarne di nuove e modificarne alcune, adattandosi quindi al mutamento dell’ambiente e mantenendo memoria di tutte le variazioni apportate.

Ѐ la prima volta che un dispositivo elettronico neuromorfico viene direttamente interfacciato con un sistema cellulare per ottenere una piattaforma in grado di riprodurre la plasticità sinaptica a breve e a lungo termine.

Francesca Santoro

Come riportato su Nature Materials, i dispositivi neuromorfici vengono ampiamente adoperati nelle interfacce cellula-dispositivo, poichè sono biocompatibili e hanno un modulo meccanico relativamente basso (come la reattività agli analiti nei mezzi acquosi circostanti). Più generalmente, le attuali interfacce neurali sfruttano dispositivi elettronici che registrano i campi elettrici locali generati sia dai potenziali d’azione che dalle correnti sinaptiche.

Figura 3. Il chip in grado di ricreare collegamenti sinaptici.

Come ha rivelato dalla dottoressa Santoro, i chip utilizzati per impianti cerebrali esistono già da tempo. Basti pensare a quelli che, secondo il paradigma della stimolazione cerebrale profonda, emettono stimoli in grado di fermare il tremore di Parkinson. Tuttavia si tratta di chip che, pur essendo utili, non riescono ad interagire davvero con i neuroni e a reagire agli stimoli che questi ultimi emettono. Ciò è dovuto anche ai materiali con i quali sono stati realizzati, tra cui il silicio (un semiconduttore). Esso è stato così accantonato in favore di materiali più flessibili e conduttivi come la plastica. La plastica intelligente, infatti, con cui è stato realizzato il microchip utilizzato nella sperimentazione, è risultata altamente sensibile alla dopamina e alla sua concentrazione.

Come si è svolta la sperimentazione

Il team ha lavorato con la dopamina, il neurotrasmettitore che partecipa al controllo della plasticità sinaptica. Come riportato sula rivista Nature Materials, le cellule di ratto PC-12 hanno rilasciato la dopamina (nella sinapsi bioibrida) solo dopo aver innescato l’esocitosi delle vescicole contenenti i neurotrasmettitori nella fessura sinaptica. La dopamina rilasciata è stata poi localmente ossidata all’elettrodo di gate postsinaptico, come mostrato in Figura 4, che rappresenta il dispositivo neuromorfico mediato da neurotrasmettitori. Si è trattato di un’ossidazione che ha provocato variazioni della conduttanza del canale postsinaptico.

Figura 4. Il dispositivo neuromorfico mediato da neurotrasmettitori. L’ossidazione provoca variazioni della conduttanza del canale postsinaptico (in rosa le sferette di dopamina, in verde la dopamina ossidata).

Nelle sinapsi biologiche il neurotrasmettitore diffonde invece attraverso la fessura sinaptica e si lega ai recettori sulla cellula postsinaptica. Nella sinapsi bioibrida, invece, questo processo viene emulato dall’ossidazione della dopamina. Sempre nelle sinapsi biologiche, inoltre, la dopamina si lega ai recettori postsinaptici in maniera reversibile, riuscendo a tornare alla terminazione presinaptica attraverso percorsi di riciclaggio endocitico.
Per ricalcare questo processo, il gruppo di ricercatori partner di Eindhoven ha fatto fluire una soluzione fresca attraverso il canale microfluidico accoppiato alla matrice del dispositivo neuromorfico, come mostrato in Figura 5, accelerando la diffusione della dopamina dalla fessura sinaptica.

La reazione di ossidazione è irreversibile, causando una variazione di conduttanza permanente e andando a riprodurre il potenziamento a lungo termine nelle reti neurali biologiche. In natura, infatti, la modulazione a lungo termine si verifica solo quando i neurotrasmettitori sono presenti nella fessura sinaptica dopo che gli impulsi sinaptici sono stati attivati.

Figura 5. Il sistema microfluidico accoppiato al dispositivo neuromorfico.

L’imaging a fluorescenza ha rivelato che le cellule di ratto sono sopravvissute su dispositivi neuromorfici senza effetti di tossicità rilevanti e hanno secreto attivamente dopamina.

Francesca Santoro

La stabilità della sinapsi bioibrida è stata confermata dalla vitalità a lungo termine delle cellule di origine animale, che si è estesa per almeno 24 ore. Inoltre è stato dimostrato che il dispositivo neuromorfico è stato in grado di rispondere al rilascio dinamico e al riciclaggio di neurotrasmettitori, basandosi sulla giunzione dei domini presinaptici e postsinaptici. Anche in una sinapsi biologica ciò si può ottenere con la formazione di una giunzione, la quale rallenta la diffusione della dopamina lontano dalla fessura sinaptica, con il suo conseguente accumulo del neurotrasmettitore.

Figura 6. Il Laboratorio di Tissue Electronics, coordinato da Francesca Santoro dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Credits: IIT

Per mettere in luce il comportamento dinamico della sinapsi bioibrida, i ricercatori dell’IIT hanno misurato la conduttanza postsinaptica sotto un potenziale di gate postsinaptico costante di 0.3 V a diverse velocità di flusso. A basse velocità di flusso si è osservata una diminuzione costante della conduttanza postsinaptica, caustata dal continuo accumulo (e dall’ossidazione) della dopamina esocitata. Ad alte velocità, quando la dopamina è stata lavata via dalla superficie prima che potesse accumularsi, si è registrato un aumento della conduttanza postsinaptica: la dopamina veniva infatti eliminata dalla fessura e dal canale microfluidico prima che potesse ossidarsi, emulando l’endocitosi. Ne è risultata una forma di plasticità sinaptica dinamica, in cui la conduttanza del canale postsinaptico dipendeva dalla quantità di dopamina rilasciata, dall’ossidazione rispetto al riciclaggio della dopamina e rispetto alla riduzione dell’ossigeno.

Infine, si è dimostrato un condizionamento a lungo termine mediato dalla dopamina all’estremità postsinaptica della sinapsi. La dopamina rilasciata dalle cellule presinaptiche è stata ossidata da 15 impulsi postsinaptici di 0.3 V a 2 secondi, con conseguente diminuzione permanente della conduttanza postsinaptica. Si è inoltre verificata una leggera diminuzione della conduttività dovuta alla deriva nella conduttanza di base durante l’incubazione cellulare, ma è stato mantenuto il comportamento sinaptico pertinente. Per verificare poi la continua plasticità sinaptica, si sono ripetute le misurazioni pulsanti, con le stesse condizioni, dopo quattro ore di incubazione, portando ad ottimi risultati.

Prospettive future

Per il momento la sinapsi artificiale bioibrida è solo un primo passo in questa direzione, poichè non possiede le dimensioni delle sinapsi presenti nel nostro cervello che misurano circa 1-2 micron. La sinapsi artificiale sviluppata possiede invece una geometria rettangolare con dimensioni variabili tra 10 e 200 micron su un lato e 40 e 100 micron per l’altro. Come ha spiegato la dottoressa Santoro, i colleghi di Stanford stanno già lavorando all’ulteriore miniaturizzazione della struttura, per arrivare a realizzare un chip avente più connessioni sinaptiche.
Altro obiettivo del team di ricerca è quello di andare oltre la dopamina e operare con altri tipi di neurotrasmettitori, come l’acetilcoline o la seretonina, utile per favorire il test e lo sviluppo di nuove molecole farmacologiche che agiscono sui neurotrasmettitori. Ciò sarebbe di buon auspicio per curare le malattie del sistema nervoso centrale, poichè le loro sinapsi artificiali tengono conto dei cambiamenti che avvengono nei neurotrasmettitori con grande precisione, proprio in seguito alla somministrazione di un farmaco.

Sul lungo termine invece il traguardo è un chip impiantabile che sia in grado di computare direttamente in situ, cioè senza bisogno di avere una parte di hardware esterno e possa quindi mandare degli stimoli elettrici in base al fabbisogno della zona di cervello che sta stimolando, come per esempio nel caso dell’Alzheimer e del Parkinson, dove le connessioni elettriche delle sinapsi sono andate perse.

Anche nel caso di amputazioni, ciò potrebbe tornare utile.

Se dopo un’amputazione si potesse collegare un arto artificiale a delle terminazioni nervose esistenti, non ci sarebbe bisogno di un microchip che faccia da collegamento. Ma se le terminazioni nervose non funzionano bene, avere un microchip bioibrido che, come il nostro, riesce a fare computazioni in base ai neurotrasmettitori ricevuti, permette al paziente di effettuare i movimenti desiderati con un dispendio d’energia minore. Senza contare che il materiale plastico consente di modellare il microchip in modo che si adatti  bene al sito dove viene impiantato.


Fonti e approfondimenti:
  • Nature.com – A biohybrid synapse with neurotransmitter-mediated plasticity
  • Repubblica.it – La prima sinapsi artificiale comunica con le cellule
  • Wired Italia – Le prime sinapsi artificiali in grado di comunicare con le cellule
  • Maker Faire – The European Edition
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Informazioni autore

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Francesca Zangaro

Dottoressa in Ingegneria Biomedica, Università di Pisa.
Appassionata di innovazione e tecnologia con l’obiettivo di studiare e contribuire alla divulgazione di nuovi orizzonti scientifici nel campo dell’ingegneria biomedica.

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